Elephant & Castle
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<p><strong><em>Elephant & Castle</em></strong>, proprio come una nota stazione della metropolitana londinese. Una rivista, dunque, come luogo d'incontro, di incroci e snodi di idee, in cui l'esperienza del transito sia più importante del punto d'arrivo, l'intrecciodei dialoghi più decisivo delle conclusioni: «Tutto il problema della vita è dunque questo – scrive Pavese nel <em>Mestiere di vivere</em> –: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri. Così si spiega la persistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perché poi qui stia la felicità, mah! Perché si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, è strano. Forse è solo un'illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri.»</p> <p>Credo che si possa rispondere in svariati modi all'affascinante quesito di Pavese, e mi auguro che gli interventi ospitati su questa rivista ne possano essere l'esemplificazione.</p> <p align="right">Alberto Castoldi</p>it-ITElephant & Castle1826-6118“Far sentire la voce dell’altro”: traduzione come risonanza nella poetica di Gianni Celati
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<p>In questo saggio esploro la poetica traduttiva di Gianni Celati e in particolare la centralità della dimensione sonora, ritmica, dell’ascolto ecoico e della risonanza rispetto al testo di partenza e alla tradizione in cui è iscritto. A tal fine esamino un suo saggio poco conosciuto “Tra ‘skaz’ e ‘sprezzatura’: problemi di traduzione da Beckett” (1999), incluso nel presente volume, oltre a vari altri saggi e prefazioni dell’autore. Per la mia analisi metto in dialogo la riflessione celatiana sulla traduzione con teorie sulla traduzione classiche e recenti, tra cui il celebre saggio su “Il mestiere del traduttore” di Walter Benjamin e sue recenti riletture in campo estetico (Hnrjez 2020; 2022; Vero 2022), come pure le teorie della traduzione di Henri Meschonnic. Mi avvalgo inoltre di studi sulla vocalità (Cavarero 2003), sulla risonanza (Rosa 2016) e sulla catacustica (Lacoue-Labarthe 1989; Rushing 2021). Tramite queste letture incrociate dimostro come la scelta celatiana di evidenziare il suono, il ritmo, l’eco e la risonanza risponde al tentativo di porre la traduzione come “più che comunicazione”, e il testo tradotto come relazione affettiva, come dialogo ed eco tra voci, lingue e tradizioni letterarie, e infine la pratica della traduzione come un tentativo di entrare nell’orbita del testo di partenza e di far sentire la voce dell’altro.</p>Marina Spunta
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2023-07-152023-07-1529“Però che senso ha andare avanti con queste storie? Nessuno”. Gianni Celati traduttore di "From an Abandoned Work" di Samuel Beckett
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<p>Nella prima parte, il saggio ricostruisce (mettendo a frutto la bibliografia disponibile) la presenza di Samuel Beckett nell’opera di Gianni Celati, dai primi cenni nei saggi giovanili dei ’60 all’assimilazione della lezione dell’autore irlandese nelle prose narrative degli ’80. La seconda parte del lavoro propone un’analisi stilistica di <em>Da un lavoro abbandonato</em>, traduzione celatiana di <em>From an Abandoned Work</em> (1957) pubblicata sulla rivista “Il Semplice” nel 1997, anche attraverso il confronto con la precedente versione di Valerio Fantinel.</p>Giacomo Micheletti
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2023-07-152023-07-1529Uno “slancio senza più pretese”: l’"Ulisse" secondo Celati fra parodia e oralità
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<p>Il saggio analizza il rapporto fra Celati e l’<em>Ulisse</em> di Joyce alla luce di due aspetti, ovvero l’uso della parodia e l’oralità della lingua joyciana. Si tratta di due aspetti che rivestono un’importanza centrale anche nella carriera di Celati. Si ricostruisce qui l’interesse del giovane Celati verso il testo di Joyce, con riferimento a quanto da lui stesso dichiarato all’epoca della pubblicazione della sua traduzione del romanzo nel 2013 e in relazione al contesto culturale degli anni Sessanta. Si cerca di dimostrare come alcune delle critiche ricevute da Celati in merito alla sua traduzione abbiano in realtà una spiegazione nella teoria della letteratura di Celati, maturata proprio a partire dallo studio dell’<em>Ulisse</em> e basata appunto sull’evidenziazione della tecnica parodica e della scrittura oraleggiante; si analizza brevemente la tesi di laurea di Celati su questo testo e la si confronta con altri scritti critici coevi del giovane Celati per mettere in risalto la rilevanza di questi concetti nella riflessione iniziale di Celati.</p>Simone Giorgio
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2023-07-152023-07-1529Celati, la stilistica e la voce di Molly
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<p>Musicalità, disordine delle parole, desiderio di creare un <em>Ulisse</em> canterino: nella prefazione che introduce la sua traduzione di <em>Ulysses</em> di Joyce, Celati racconta le sue ragioni nel proporre un'esperienza di lettura ininterrotta da note e interpretazioni, dato che non sempre è necessario capire tutto. Il presente saggio si avvicina al suo <em>Ulisse</em> dalla prospettiva rigorosamente descrittivista della stilistica, un approccio all’analisi dei testi letterari che usa la descrizione linguistica, per inseguire la voce di Celati – la sua “impronta” – e trovarla tra quelle molteplici di <em>Ulysses</em>, testo conosciuto per la sua polifonia, la sua pignoleria, il suo incomparabile gioco di stili. A tal fine, verrà analizzato un brano estratto dall’ultimo episodio del testo sorgente (“Penelope”) e la sua traduzione, per osservare nel dettaglio le strategie traduttive celatiane inserendole nelle tendenze tipiche delle traduzioni italiane di classici moderni, toccando questioni come <em>ennoblissement</em>, caratterizzazione, registro. Nella sua natura di ritraduzione, verrà esaminato anche il rapporto di questo <em>Ulisse</em> con la traduzione canonica di De Angelis del 1960, che per oltre cinquant’anni ha rappresentato l’unico punto di contatto del lettore italiano con il testo, e con la quale ogni traduzione successiva, e quindi anche quella di Celati, si situa in un rapporto di intertestualità, per ricercare eventuali interferenze.</p>Daniela Vladimirova
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2023-07-152023-07-1529“[We] would prefer not to”. Metodologie e itinerari critici di Celati e Pavese traduttori di Melville
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<p>Il presente intervento si propone un’indagine comparata di Gianni Celati e Cesare Pavese nella loro attività di “traduttori melvilliani”, a partire dallo studio di taluni corpora epistolari e privati pavesiani e celatiani, i quali ben ci testimoniano talune cruciali teorie e metodologie traduttive concepite nel tempo dai nostri due autori. Se in Pavese la traduzione del 1932 del romanzo <em>Moby Dick</em> (1851) assume connotati fortemente antifascisti, con una consapevolezza altrettanto “non neutrale” Celati si “riappropria” – a metà anni ’80 – dell’atipico racconto melvilliano <em>Bartleby, the Scrivener</em> (1853) per la sua capacità di affermare un dissenso netto ma non violento nei confronti della società del tempo. La traduzione dei testi melvilliani da parte dei nostri due autori fa inoltre emergere talune delle questioni traduttologiche maggiormente nevralgiche e dibattute in decenni di studi sulla traduzione, a partire da taluni insolubili binomi oppositivi quali “fedeltà/infedeltà” e “traduzione/riscrittura”, mostrandone peraltro tutta l’attuale inadeguatezza e “sterilità”. I casi di Pavese e Celati traduttori di Melville ci restituiscono una metodologia traduttiva che rifugge orgogliosamente da quell’“invisibilità del traduttore” teorizzata e condannata da Lawrence Venuti, avanzando semmai un’idea di traduzione intesa quale autentica “seconda creazione”, attraverso talvolta autentiche deformazioni del testo fonte, che non possono non rimandare alle “tendenze deformanti” teorizzate da Antoine Berman.</p>Livio Lepratto
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2023-07-152023-07-1529Celati e Hölderlin. Di case e di abitudini
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<p>Il contributo si sofferma sulla traduzione delle <em>Poesie della torre</em> di Hölderlin realizzata da Gianni Celati. Analizzando i testi emerge così il lavoro celatiano sul ritmo, già centrale nella sua scrittura degli anni Ottanta; il suo “affidarsi” alle parole, che passa qui attraverso un modello e una intertestualità leopardiani; la profonda affinità esistenziale col folle gigante della poesia tedesca. L'identificazione non passa solo attraverso la condivisa passione per il camminare<br>negli spazi aperti, ma ci parla di una comune nostalgia per l'essenza sotto il divenire delle apparenze, del bisogno che tutti abbiamo di trovare – grazie all'abitudine e alla letteratura – delle strategie per abitare questo mondo. Per<br>vivere e sopravvivere, pur entro l'"orizzonte pesantissimo" che ci circonda.</p>Arianna Marelli
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2023-07-152023-07-1529Ascoltare per tradurre: Celati legge Wittgenstein
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<p>Gianni Celati ha letto Ludwig Wittgenstein, ma pochi studi finora hanno indagato tale influenza in termini filosofici. Il presente contributo intende affrontare questa relazione, con particolare attenzione all'attività traduttiva di Celati fondata sull'ascolto della prosodia dei testi. In questo contesto, Celati può essere considerato traduttore in almeno due sensi : in quanto traduttore di discipline, «applica» la filosofia di Wittgenstein alla creazione letteraria (Celati, West, 1985; Belpoliti 2016); in quanto traduttore di lingue storico-naturali, attraversa quella «terra di nessuno» che, secondo Paolo Virno (2003; 2015) è la potenza di linguaggio «di cui fanno esperienza diretta l’infante, l’afasico e il traduttore». Gianni Celati traduttore attraversa la terra di nessuno della facoltà di linguaggio nel suo moto da una lingua all’altra. Nel transito, molla gli ormeggi della lingua di partenza e naviga <em>a orecchio / a sentimento</em> nel poter-dire del vivente umano. Resta in ascolto di ciò che il testo dice: lascerà poi depositarsi un’intensità, una particolare sintassi, un ritmo (cfr. <em>Narrative in fuga</em>, 2019), che l’autore restituirà nella lingua d’arrivo. Nel viaggio compiuto traducendo, porta in superficie le condizioni di esistenza del linguaggio mentre ascolta la voce del testo. Non è infatti un mistero che per Celati la traduzione sia essenzialmente un fatto sonoro, in cui conta la materialità acustica di parole sinestetiche e non necessariamente il loro significato. Celati traduttore va cercando una «turbolenza atmosferica» (<em>Introduzione a </em>Bartleby lo scrivano, 1991): la Stimmung di Wittgenstein, che apparentiamo alla «significanza» di Meschonnic (<em>La critique du rythme</em>, 2009), attraverso la musicalità del testo; ci si appoggia non tanto ai significati ma alla composizione dei significanti. Una storia, infatti, è traducibile se è prima di tutto ascoltata. Scrive Celati a proposito dell’<em>Ulisse</em>: «[N]on è importante capire tutto: è importante sentire una sonorità». Prosodia e ritmo del testo narrativo sono in Celati gli strumenti di disarticolazione della lingua verso il sonoro delle parole, in cui si disattiva il potere di significazione. La traduzione è così un esercizio che alleggerisce il senso della lingua fino a sfiorare il linguaggio.<br>Date queste premesse, l'articolo mira ad individuare un’idea di traduzione propria a Celati. L'articolo è risultato di una ricerca condotta presso il Fondo Celati della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e si avvale anche di materiali inediti fornitimi da Gillian Halley.</p>Irene Aurora Paci
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2023-07-152023-07-1529“Un celebre occupatore di città”: una riscrittura tra monumento e racconto
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<p>“Un celebre occupatore di città” è l’unico racconto dei <em>Narratori delle pianure</em> ad occuparsi di avvenimenti storici. Ambientata in Emilia nel 1922, la novella racconta le occupazioni fasciste di alcune città della regione e della rivolta dell’Oltretorrente a Parma. Il protagonista è Italo Balbo e il suo avversario è Guido Picelli, entrambi mai nominati. Celati racconta i fatti storici riscrivendo <em>Diario 1922</em>, di Italo Balbo. “Un celebre occupatore di città” differisce così radicalmente dalle altre novelle della raccolta, trascrizioni dell’anonimo fabulare quotidiano. Nel comporre il racconto in questione, invece, Celati trasforma un testo originario, il diario, in un secondo, la novella, che mentre condivide col primo alcuni elementi chiave sul piano del contenuto, ne differisce radicalmente su quello dell’espressione. L’analisi si servirà sia di strumenti elaborati dalla narratologia, sia dei risultati raggiunti dalla ricerca storiografica relativa ai fatti e ai personaggi citati nel racconto. In quest’ultimo caso, si sfrutterà la rara opportunità di utilizzare i dati storici per una lettura ravvicinata di un testo narrativo di Celati. Si potrà così esplorare un territorio finora poco frequentato dalla critica, quello che concerne il giudizio di Celati sui movimenti politici e sociali della prima metà del Novecento. Centrale sarà a questo proposito la lettura ravvicinata del confronto fra Balbo e Picelli, punto culminante, dal punto di vista drammatico, della novella.</p>Marco Codebò
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2023-07-152023-07-1529Gianni Celati e l’arte della traduzione
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<p>Questo editoriale pone l’accento sull’idea e la pratica traduttive nell’opera e nella poetica di Gianni Celati, sostenendo la necessità di una rilettura della sua produzione a partire da tale presupposto. Dopo un'introduzione sullo stato dell’arte su Celati e la traduzione e dopo aver spiegato ciò che ha mosso l’iniziativa di questo numero monografico, il saggio colloca l’idea celatiana di traduzione in linea con il cultural turn negli studi sull’argomento e in dialogo con le attuali teorie sulla traduzione. Sosteniamo che per Celati la traduzione è un mezzo vitale di trasmissione culturale, attraverso un dialogo continuo con il testo e le tradizioni linguistiche a cui appartiene. Questo dialogo prende la forma di “un continuum di pratiche” (Polezzi 2022), che possono potenzialmente produrre un effetto ricochet inaspettato sul testo originale e sulla sua cultura di provenienza. Tutto questo in Celati emerge nel primato che egli accorda al suono, alla voce e al ritmo; nello sforzo di stabilire una risonanza con il testo di partenza; e nel considerare la traduzione come un “parlamento”, pratica affettiva continua e perfettibile. </p>Marco BelpolitiGabriele GimmelliMarina Spunta
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2023-07-152023-07-1529Danci e l'indovino Clò
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<p>Una prima versione di questo testo è stata letta dallo stesso Benati il 22 aprile 2022 nel corso dell'evento “Homage to Gianni Celati”, organizzato da Marina Spunta presso l'Istituto di Cultura Italiana di Londra. Ringraziamo l'autore per avercene concessa la pubblicazione.</p>Daniele Benati
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2023-07-152023-07-1529Vivenza d'un barbiere dopo la morte
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<p>Accanto a una attenta riflessione sulle scelte traduttive compiute in occasione dell'uscita di <em>Narratori delle pianure </em>per Serpent's Tail nel 1988, Lumley propone una traduzione riveduta di uno dei racconti della raccolta, “Vivenza d’un barbiere dopo la morte”.</p>Robert Lumley
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2023-07-152023-07-1529Danci, traduttore dilettante. Per una traduzione inglese de "Le avventure di Guizzardi"
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<p>Daniele Benati, scrittore e amico di Celati, ripercorre le strategie linguistiche messe all’opera da Celati per il suo secondo romanzo, <em>Le avventure di Guizzardi</em> (1973), domandandosi poi se fosse possibile riprodurle in un’altra lingua.</p>Daniele Benati
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2023-07-152023-07-1529Cosa ho imparato sull’arte della traduzione letteraria da Gianni Celati (se sono riuscito a imparare qualcosa)
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<p>Amico e sodale di Gianni Celati, Talon rievoca il periodo in cui insieme traducevano Henri Michaux e i suggerimenti generosamente forniti dallo stesso Celati per la traduzione di <em>Un uomo che dorme </em>(2009), realizzata dal solo Talon.</p>Jean Talon Sampieri
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2023-07-152023-07-1529Re-translating Gianni Celati's "Narratori delle pianure"
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<p>Robert Lumley, studioso e traduttore di Celati, affianca alla testimonianza la riflessione teorica e la prassi, tornando a distanza di trentacinque anni sulla propria traduzione di <em>Narratori delle pianure</em>, apparsa nel 1988 per l’editore britannico Serpent’s Tail con il titolo <em>Voices from the Plains</em>. Accanto a una attenta riflessione sulle scelte traduttive compiute in quell’occasione, Lumley ci propone una traduzione riveduta di uno dei racconti della raccolta, “Vivenza d’un barbiere dopo la morte”.</p>Robert Lumley
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2023-07-152023-07-1529Le traduzioni spagnole di Gianni Celati
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<p>Maria José Calvo Montoro, studiosa e traduttrice di Celati in spagnolo, traccia una storia della fortuna editoriale di Celati in Spagna, fornendoci al contempo un prezioso quadro dell’industria culturale del Paese iberico nel corso degli ultimi trent’anni. </p>Maria J. Calvo Montoro
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2023-07-152023-07-1529Celati’s Transverse Adventures into the Errant Familiar
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<p>Patrick Barron, fra i maggiori esperti celatiani in area anglofona, ripercorre il proprio rapporto con l’opera dello scrittore considerata come un insieme omogeneo di narrazioni, saggi, interventi.</p>Patrick Barron
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2023-07-152023-07-1529Tra “skaz” e “sprezzatura”. Problemi di traduzione da Beckett
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<p><em>Lo scritto di Gianni Celati che qui riproponiamo è nato all’interno di un ciclo di lezioni tenute nel corso del seminario di traduzione organizzato da Franco Marenco presso l’Università di Torino. È stato in seguito pubblicato su una rivista trimestrale oggi scomparsa, </em>Il Baretti universitario<em> (anno 4, n. 2, 1999, pp. 8-13). Il testo, che riportiamo senza alcuna modifica (sono stati corretti soltanto pochi ma evidenti refusi), era preceduto da questa nota di Andrea Amerio, di cui riportiamo un breve estratto: “La lezione di uno scrittore come Gianni Celati è qualcosa di più di una serie di nozioni sul tradurre: è una lezione di passione che presuppone un’etica della lettura che a sua volta può sottintendere una morale del testo. Qualcosa che va al di là di un voto su un libretto o del proprio nome in calce a un articolo: è una praxis dell’agire per vie problematiche e dubitative […]. Una lezione che frena gli entusiasti, aiuta i perplessi e devasta gli arrivisti”. [N.d.C.]</em></p>Gianni Celati
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2023-07-152023-07-1529