Cicatrici del logos. Miti e figure della vulnerabilità e della resilienza
Abstract
Entro l'orizzonte mitico ricorrono immagini della lacerazione e della ricomposizione anche in tradizioni molto lontane tra loro, basti pensare alle figure di Osiride, Tammuz, Dioniso e Adone nelle religioni egizia, babilonese e greca. L’eccezione di Anteo mette in scena da un lato la resilienza bruta e muta che non conosce vulnerabilità, quella del gigante, appunto, dall’altro l’astuzia mediata dal pensiero e dalla parola di Eracle, il suo avversario. Tradizioni e culture diverse rielaborano i concetti di vulnerabilità e resilienza come racconti fondativi, che, secondo la Filosofia della mitologia di Schelling, non costituiscono nient’altro che la rappresentazione esteriore e figurata del processo interiore della genesi della coscienza umana. Questa dinamica di vulnerabilità e resilienza si ritrova anche nella tradizione biblica e cristiana, come testimonia il prosieguo della riflessione schellinghiana nella Filosofia della rivelazione. Il contributo ripercorre il susseguirsi delle rappresentazioni mitiche e religiose, seguendo il doppio filo conduttore della progressiva emancipazione del logos e della coscienza dal mutismo brutale del gigante Anteo fino alle figure soteriologiche di Dioniso e Cristo. La filosofia, secondo Schelling, è il frutto maturo e consapevole di questa lunga vicenda, che, peraltro, non si esaurisce ma si ripropone continuamente nella dialettica sempre rinnovata di vulnerabilità e resilienza della coscienza: “il filosofo che conosce il suo mestiere è il medico che ricuce e fa guarire con mano morbida, lenta le profonde ferite della coscienza umana”. Anche Adorno, pur con una maggiore consapevolezza dei limiti del pensiero e della sua terminologia, ribadisce che compito della filosofia è contrastare la propria vulnerabilità risollevandosi resiliente con le proprie forze e rimarginando pazientemente le ferite che essa stessa, col proprio lavoro, necessariamente produce.