Presentazione

Vent'anni di laboratorio dell'immaginario

Nel 2004 Alberto Castoldi fondava la rivista elettronica Elephant & Castle. Laboratorio dell’immaginario.

Nel giugno 2007 la versione online open access della rivista recuperava nel numero 0 tutti i saggi pubblicati nel triennio precedente.

Dall’8 febbraio 2018 a oggi viene indicizzata dall’Anvur in classe A per l’intera area CUN 10 e, come dalla sua nascita, prevede – salvo eventuali numeri speciali, doppi o tripli – il lancio di due call for papers trilingue e/o quadrilingue e un’uscita semestrale.

Dal numero 28 di dicembre 2022 Elephant & Castle. Laboratorio dell'immaginario assume una nuova fisionomia attraverso la migrazione sulla piattaforma Open Journal System, più funzionale alla diffusione internazionale dei contributi (plurilingue) che ospita e alla circolazione nella comunità scientifica delle idee e delle riflessioni che promuove. La veste grafica della rivista è stata integralmente rinnovata. La consultazione dei fascicoli è facilitata da rimandi interattivi tra l’indice e gli articoli. 

Il direttore fondatore Castoldi così presentava la rivista elettronica Elephant & Castle. Laboratorio dell’immaginario.

 

La Presentazione di Alberto Castoldi, nella sua concisione, inserisce una serie di elementi che caratterizzeranno il lavoro ventennale della rivista e il progetto culturale tra parola e immagine portato avanti con i componenti del comitato direttivo — Marco Belpoliti, Jacques Dürrenmatt, Franca Franchi, Anna Maria Testaverde, Alessandra Violi — insieme al nutrito comitato scientifico e redazionale nazionale e internazionale e al Gruppo di ricerca Arts and Humanities afferente al Dipartimento di Lettere, Filosofia, Comunicazione dell’Università degli studi di Bergamo, grazie altresì alla cura della Coordinatrice responsabile di redazione Sara Volpi, che dopo anni di intenso e puntuale lavoro passa il testimone, a partire da questo numero, a Giacomo Raccis.

Situata all’incrocio tra la linea Bakerloo e la Northern, la stazione Elephant and Castle della metropolitana di Londra è tra le prime ad essere state aperte a fine Ottocento. Il logo dell’elefantino che porta la torre, simbolo del quartiere londinese Elephant and Castle e dell’omonima fermata metro grazie a una statua rossa e blu che svetta di fronte al centro commerciale, era situato sul lato sinistro della testata nella vecchia homepage della rivista. Sul lato destro dei piccoli riquadri con immagini erano attraversati dal segno grafico di una spirale rossa che, come una strada ideale su cui si muove l’elefante, intrecciava il suo percorso con le figure. Questo snodo del trasporto e del transito metropolitano è al tempo stesso un riferimento a una mobilità culturale e intellettuale in cui "l’esperienza del transito sia più importante del punto d’arrivo, l’intreccio di dialoghi più decisivo delle conclusioni". La lunga citazione da Cesare Pavese inserita nella Presentazione apre, in particolare, una serie di domande e la chiusura di Castoldi mette in evidenza l’aspetto contraddittorio dell’accostamento fra il dialogo caotico e imprevedibile del crocevia metropolitano e l’ambizione solipsistica dello scrittore: "credo che si possa rispondere in svariati modi all’affascinante quesito di Pavese, e mi auguro che gli interventi ospitati su questa rivista ne possano essere l’esemplificazione". Necessità della comunicazione scientifica e sua potenzialità illusoria, rispecchiamento in sé e negli altri, che ci riflettono: un’ambivalenza del senso e del discorso che il direttore fondatore Alberto Castoldi sembra voler mettere provocatoriamente in moto con questa originale carta d’identità della rivista. La affiancava sulla destra, a completamento di una postura critica che da una parte enuncia il senso dell’operazione e dall’altra lo rende criptico, l’immagine romantica e perturbante del Demone del viaggio. Riprodotta in piccolo formato, priva di didascalia e di riferimenti espliciti nel discorso, è una soglia grafica ai contenuti che la seguiranno. L’immagine risulta dalla passione di Castoldi per le illustrazioni ottocentesche (A. Castoldi, Grandville & company: il perturbante nell’illustrazione romantica, Bergamo, Lubrina, 1987). Il demone, gigantesco rispetto alle persone che stanno camminando sul suo corpo seduto e che stanno entrando nella sua bocca, a piedi, in carrozza o a cavallo di animali fantastici, porta sulla testa una donna sdraiata. La bandiera nelle mani della fanciulla ha la scritta Fantaisie, mentre sullo sfondo del pozzo nero delle sue fauci aperte si legge Introduction. Questa creatura ciclopica ma non terrifica accoglie a occhi e bocca spalancati le persone che accorrono mentre poggia al suolo le sue zampe dagli artigli aperti e sul cui palmo camminano le persone. Il testo cui allude l’illustrazione contiene il senso dell’inserimento visivo: Voyage où il vous plaira — Tony Johannot, (illustrateur), Alfred De Musset (auteur), Pierre-Jules Stahl (auteur), Paris, Hetzel, 1843. L’avviso al lettore annunciava il progetto di quel volume "avec vignettes": scriverlo e illustrarlo, con la penna o con la matita ("la plume ou le crayon") in modo che rendesse al meglio il pensiero degli autori. Ad aprire la serie di narrazioni fantastiche, il Demone del viaggio dal frontespizio accoglieva i lettori inserendoli letteralmente nel suo mondo narrativo.

La sinergia efficace tra parola e immagine si riversa dalle righe e dall’illustrazione della Presentazione alla prassi del lavoro editoriale sui numeri pubblicati in vent’anni di attività. La compattezza delle scelte monografiche fa di ogni uscita una raccolta corale ed eterogenea degli articoli e delle immagini dedicati a un autore (a Gianni Celati, recentemente scomparso, è dedicato il n. 19, dicembre 2018, Lunario del paradiso), a un luogo (il museo, Dove va il museo, n. 21, dicembre 2019; i Modelli abitativi del n. 11, 2015; le Prigioni del n. 9, 2013; la prospettiva Dall’alto del n. 4, 2011), a uno spunto tematico, teorico o metodologico (L’Esprit du collage, n. 26, 2021; Figure dell’artista, n. 25, 2021; Mimetofobia, n. 24, 2020; Speciale: 30 anni di Twin Peaks, n. 23, 2020; Trasparenze, n. 22, 2020; Il segreto, n. 20, 2019; Postludi. Lo stile tardo n. 18, 2018; Il falso, n. 17, 2017; Prospettive transmediali, n. 15, 2016; Tempo e visione filmica, n. 14, 2016; Vulnerabilità/Resilienza, n. 10, 2014; Le emozioni, n. lab 2014; Le incantatrici, n. 8, 2013; narrazione/narrazioni, n. lab. 2013; Il frammento, n. 7, 2012; Il silenzio, n. 6, 2012; L’ombra, n. 5, 2012; Natura e metamorfosi, n. 3, 2011; Forme del sacro, n. 2, 2010), a uno spunto storico (La grande guerra, n. 12, 2015; undicisettembre, n. lab. 2011).

Essendo una rivista nata dal progetto di costituire un "laboratorio dell’immaginario" ha aggiunto ai repertori di area una sede editoriale prestigiosa per gli studi sulla visualità e sull’intermedialità. Ne sono diretta dimostrazione, per esempio, gli ultimi numeri pubblicati online.

Il numero 28 (dicembre 2022), a cura di Adriano D’Aloia e Jacopo Rasmi, introduce il neologismo Mediacene per stimolare la riflessione, nell’ambito dei visual media studies, attorno al ruolo dei media sulla percezione degli effetti della vita umana sul pianeta, alla luce della nuova attenzione globale alle questioni ambientali. In questa inedita era geologica, l’ambientalizzazione dei media e la mediatizzazione dell’ambiente pongono gli individui e la società al centro di scenari problematici e di fronte a sfide complesse. Le sfere della comunicazione digitale e delle arti visuali svolgono una rilevante – ma talvolta insidiosa – funzione di modulazione e mediazione della sensibilità ecologica. Il fascicolo lancia la proposta di una ecologia visuale che si affianchi e integri gli strumenti e i ragionamenti consolidati della cultura visuale e dell’ecologia dei media nel progressivo processo di ridefinizione dei criteri di convivenza e reciproca compenetrazione tra esseri viventi, tecnologie e ambiente naturale.

Il numero 27 (novembre 2022) Animali d’artista. Tra figurazione, astrazione ed ibridazione dal secondo Novecento ad oggi, a cura di Elio Grazioli e Maria Elena Minuto, parte dalla doppia considerazione che la questione dell’animalità è riemersa dirompente nell’attualità più recente e che l’arte contemporanea non può che trattarla in un modo che non si limita alla illustrazione. Questione millenaria, di respiro etico, filosofico, politico e sociale, la relazione tra arte e animalità affonda le sue profonde e memorabili radici nelle avanguardie storiche. Sintomo dei rivolgimenti della storia, dello sviluppo tecnologico e della crisi ecologica del XX secolo, la questione è stata approfondita poi alla luce di una nuova prospettiva critica, estetica e concettuale che rifletteva sul tempo naturale e culturale dell’Antropocene. Sullo scorcio delle teorie e delle sperimentazioni delle neoavanguardie, correndo lungo le ricerche dei decenni Ottanta e Novanta, fino ad arrivare alle più recenti manifestazioni, questo numero raccoglie contributi storico-critici che analizzano in una prospettiva interdisciplinare e comparatista il tema attraverso figure di diversa rilevanza e diversa espressione, dagli ibridi di Germaine Richier al “bestiario performato” di Julien Blaine, dall’opera di artisti italiani come Franco Vaccari e Gianfranco Baruchello, fino alle recentissime riflessioni sull’estinzione di Marguerite Humeau, passando per cinema (Chris Marker), femminismo (Clemen Parrocchetti), moda.

Il numero 26 (dicembre 2021) L’Esprit du collage, a cura di Arnaud Maillet e Andrea Zucchinali, vuole rappresentare il primo passo di un rinnovamento della ricerca sulla complessità e l’attualità del collage, inteso come nozione, tecnica, pratica, processo, oggetto, opera, strumento, principio, paradigma per pensare alla modernità e al suo immaginario. A partire dagli esordi del Novecento le avanguardie artistiche, affascinate da questa pratica in grado di indurre un corto-circuito nell’idea stessa di autorialità, sembrano elevare il collage a principio che comprende in sé diverse pratiche. Per esempio i papiers collés di Pablo Picasso e Georges Braque, i papiers déchirés di Hans Arp, i fotomontaggi Dada, i collage surrealisti, ecc. Ma porta anche altre forme d'arte in dialogo, soprattutto nell'era del postmodernismo, con le tecnologie analogiche e digitali in un mondo di media e interconnessioni generalizzate, in rete o in linea. Nel corso del XX secolo, poi, il principio del collage ha oltrepassato i confini delle arti plastiche, per occupare un ruolo centrale nell’ambito di diverse discipline e forme creative, come la letteratura, la poesia, il cinema, la musica o l’architettura. Data la sua pervasività, questo numero monografico propone quale oggetto di studio la nozione di collage inteso come nodo all'incrocio dei diversi ambiti disciplinari e ospita così contributi che abbracciano la moda, l’arte, la letteratura fino alla game art.

Il numero 25 (giugno 2021) Figure dell’artista, a cura di Eloisa Morra e Giacomo Raccis, si concentra sulla rilevanza di questo personaggio, l’artista appunto, nell’immaginario antico e moderno, legato a doppio filo alla stratificazione di significati e pregiudizi che nel corso dei secoli si sono depositati sulla sua figura. Al contempo visto come individuo enigmatico, dotato di facoltà quasi sciamaniche, oppure scaltro falsificatore, interessato solo a colonizzare l’immaginario popolare – e a lucrarci sopra – grazie a ‘trovate’ a buon mercato (“Per me vale la regola del minimo sforzo, massimo risultato”, ha affermato Damien Hirst, 2001), l’artista sembra destinato a essere continuamente oggetto di opinioni polarizzate. Questa polarizzazione riflette una sostanziale difficoltà della cultura contemporanea a comprendere il suo statuto professionale, il suo ruolo sociale e la sua prassi espressiva con importanti ricadute. I contributi raccolti in questo numero chiamano dunque in causa il doppio versante delle forme di rappresentazione e autorappresentazione dell’artista in diversi ambiti d’analisi dalla narratologia alla filologia, dalla sociologia dell’arte ai visual studies, passando per la critica tematica e le teorie della ricezione.

Il numero 24 (dicembre 2020) Mimetofobia, a cura di Michele di Monte, Benjamin Paul e Silvia Pedone, dopo tante riflessioni sul tema della paura dell’Altro e dell’alterità, questo numero intende riflettere meglio e più chiaramente anche sull’“altra metà” del problema, sul timore del simile e della somiglianza. Emerge così come somiglianza e dissomiglianza si co-implichino più spesso di quanto non si escludano, nelle culture visive antiche come in quelle contemporanee. D’altra parte, le pratiche artistiche trovano una loro rispondenza pure nell’ambito della scienza o in quelle aree liminari che stanno al confine tra antropologia, religione, magia e tecnica. Riflessioni che intendono dunque confrontare le ragioni attuali della presunta inattualità del mimetico con quelle antiche, individuando sintomi antropologici che possono iscriversi in linee di forza, magari frastagliate e irregolari, ma di lunga durata.

Il numero 23 (settembre 2020) 30 anni di Twin Peaks, a cura di Jacopo Bulgarini d’Elci e Jacques Dürrenmatt. Questo numero speciale – dedicato al trentennale della messa in onda di Twin Peaks e alla riflessione sulla sua fecondissima eredità nell’evoluzione della complex tv del nostro tempo – prende avvio dall’analisi di come lo show di David Lynch e Mark Frost abbia trasformato, tra le altre cose, il modo con cui al pubblico si chiedeva di guardare una detective story e, più in generale, un prodotto televisivo seriale. Alla luce di queste premesse, il numero affronta la nascita dello spettatore-detective; l’ermeneutica come gioco aperto; la serialità contemporanea; l’eredità di Twin Peaks legata al tema della soglia, del limite, del confine; fino a soffermarsi sulla natura ambigua delle immagini e dei suoni in Twin Peaks attraverso l’analisi di testi, metatesti e pretesti.

Il numero 22 (giugno 2020), Trasparenze a cura di Silvia Casini, Francesca Di Blasio e Greta Perletti, propone un’esplorazione del concetto di “trasparenza” declinato al plurale per evidenziarne l’eterogeneità degli ambiti e delle possibili prospettive di indagine così come la straordinaria potenzialità figurale. Si passa dall’ambito della comunicazione politica e giornalistica ai sistemi digitali e all’accessibilità totale dei dati raccolti. Ma esplorare la trasparenza implica anche riflettere sugli effetti che gli ideali della totale visibilità e della totale esposizione provocano, inevitabilmente, sul corpo. L’attenzione si focalizza allora sull’immaginario letterario, sulle narrazioni improntate al desiderio di aprire il corpo per renderlo trasparente allo sguardo. Ma la trasparenza permea anche l’ambito della poesia, della traduzione, del teatro sino a toccare le psychological humanities.

Il numero 21 (dicembre 2019), Dove va il museo, a cura di Sara Invernizzi, Arnaud Maillet e Giovanni Carlo Federico Villa, è centrato sul rapporto tra arte, comunicazione digitale, innovazione tecnologica, multimedialità e potenzialità narrative del mondo museografico. Il numero coniuga efficacemente le questioni museali di conservazione con l’urgenza dell’innovazione data da nuove potenzialità tecnologiche e narrative. I temi della comunicazione digitale, della comunità fruitrice degli spazi museali, della loro rigenerazione territoriale e della relazione con ogni aspetto della multimedialità legata alla diffusione dell’arte nell’epoca del Digital Turn sono risultati particolarmente consoni nella fase pandemica dell’inverno 2020 che li ha immediatamente seguiti, durante la quale le potenzialità multimediali e transmediali disegnate dagli autori del fascicolo si sono trasformate rapidamente in necessità e risorsa per l’espressione artistica globale.

L’apporto visivo non è infatti affatto secondario in Elephant & Castle. Laboratorio dell'immaginario, e si è articolato mediante la presenza di due Gallerie poste al termine di ogni indice, una per tutte le immagini e una per tutti i video del numero. Alcuni ne sono particolarmente ricchi, come ad esempio quello a cura di Elisabetta De Toni dedicato a Linee della moda (giugno 2017), nel quale le Gallerie contengono 244 immagini e cinque filmati di Georges Méliès. Oppure quello a cura di Michele di Monte, Benjamin Paul e Silvia Pedone, Mimetofobia (dicembre 2020), contenente 101 immagini. Senza dimenticare il numero speciale dedicato ai 30 anni di Twin Peaks, per il quale era stata appositamente creata un’introduzione visiva (un video documentario di 25 minuti) caricata sia nella galleria video sia sul canale YouTube della rivista.

Se quello ripercorso fin qui è il passato dell'avventura di Elephant & Castle. Laboratorio dell'immaginario, il futuro ci riserva certamente altrettanta ricchezza di stimoli e ampiezza di orizzonti. La rivista continua nel solco della tradizione e al contempo si innova e si rilancia per continuare a cogliere le sfide dello studio della consistenza, dei processi e delle tensioni dell'immaginario: un laboratorio costantemente aperto per contribuire al dibattito internazionale in campo scientifico e culturale.

Franca Franchi
dicembre 2022