Dalla vulnerabilità genetica a quella ecologica. Etologia della debolezza per una prospettiva biopolitica della collaborazione
Abstract
La teoria darwiniana della selezione naturale ha indicato come più deboli quegli individui che, a causa di un corredo genetico debole o difettoso manifestano delle caratteristiche inferiori ai loro conspecifici in termini di sesso, stazza, forza, rango di dominanza; ciò determinerebbe un peggiore grado di adattamento nel confronto con l’ambiente. La teoria dei “buoni geni”, che ha connotato la visione sociobiologica negli ultimi 50 anni, ha confermato la corrispondenza tra vulnerabilità e carenze genetiche: è esposto ad un maggiore grado e intensità di pericolo chi non nasce con un corredo genetico adeguato. Tale visione scientifica, tuttavia, negli ultimi anni ha cominciato a vacillare: la revisione di una visione eugenetica delle dinamiche sociali, attualmente in corso, apre spiragli a nuove interpretazioni. Molti sono gli studi che riguardano le special affiliative relationships nelle società animali, ovvero “relazioni speciali” non condizionate dalla parentela e non finalizzate all’accoppiamento sessuale; esse segnano un punto di svolta nella connotazione di vulnerabilità etologica e soprattutto delle sue conseguenze all’interno delle reti sociali. Molte delle dinamiche cooperative, infatti, emergerebbero tra individui di rango inferiore per far fronte alla dominanza del maschio alfa. In quest’ottica la cooperazione, anche non finalizzata a un vantaggio immediato, sarebbe una strategia adattiva rispetto alla vulnerabilità genetica.