La presa della Bastiglia nella pubblicistica di Neuwied: note sul dramma “Die Bastille” di Karl Y. von Buri

Autori

  • Guglielmo Gabbiadini

Abstract

1. La notizia dell’assalto alla Bastiglia suscita in Renania reazioni variegate. A Neuwied, capitale dell’omonimo principato sulla riva destra del Reno, i giornali locali diffondono nell’arco di pochi giorni le notizie più disparate e contraddittorie. Sedicenti testimoni oculari, anonimi, oppure non meglio precisati “inviati da Parigi” descrivono con solerzia e meticolosità gli accadimenti cruciali del 14 luglio 1789, il celeberrimo martedì entrato immediatamente a far parte di un complesso immaginario collettivo internazionale, lungo un percorso che avrebbe portato alla sua istituzionalizzazione poco meno di un secolo più tardi.

Come hanno dimostrato gli studi di Karl d’Ester, le informazioni diffuse a Neuwied vengono tratte quasi sempre da altri giornali – soprattutto francesi – o da riassunti tedeschi di Flugschriften, ovvero opere-volantino, francofone. A livello ufficiale, tuttavia, tutti a Neuwied affermano di attingere da fonti primarie: nella maggior parte dei casi, dai loro “stessi occhi” oppure dalle “voci” di chi era con loro.

Facilitati da una certa tradizione di tolleranza, inaugurata già nel 1737 dal principe regnante J. F. Alexander zu Wied-Neuwied, i toni delle testate neuwidiane sono a tutta prima generalmente trionfalistici. L’urgenza e la spettacolarità dell’evento della presa della Bastiglia non lasciano spazio a ragionamenti e discettazioni su cause e concause. Poca attenzione si dedica ai prezzi vertiginosi raggiunti dal pane a Parigi in quei giorni di palese fermento o al crescente addensamento di truppe attorno alla capitale voluto da Luigi XVI. Scarso interesse riscuotono inoltre, tra le righe dei giornali renani, le decine di scritti che denunciavano – da almeno un decennio in maniera palese – i soprusi del “dispotismo ministeriale” e tutti gli exemples effrayants di vittime del regime carcerario della Bastiglia.

Altrettanto indifferenti risultano, al giudizio dei giornali locali, le teorie di un complotto nobiliare ordito dal Conte d’Artois, fratello del re, molto diffuse invece nella capitale francese e Oltremanica. Ciò che interessa e colpisce sulle rive del Reno è soprattutto la sublime spettacolarità con cui gli eventi proto rivoluzionari si susseguono. Le metafore dominanti nei resoconti risultano invariabilmente derivate, non certo a caso, dal mondo del teatro e della patognomica: la Bastiglia diventa il “palcoscenico” su cui il “volto” della storia si fa leggibile e la “storia universale”, passione tedesca, pare evolvere con un’accelerazione tale da essere percepibile a vista d’occhio. Per molti un trauma, per altri una speranza. Almeno nell’immediato.

2. L’incertezza – in molti casi la contraddittorietà – delle informazioni e dei punti di vista creano il terreno ideale per dar spazio in numerose occasioni a libere integrazioni diegetiche degli eventi, volontarie o accidentali confusioni degli attori, tendenziose manipolazioni o strumentalizzazioni mediatiche delle forze operanti. Accanto a ciò, sempre più marcata si fa, inoltre, la predilezione per la descrizione minuziosa degli avvenimenti più crudi e raccapriccianti – premesse e antecedenti discorsivi importanti per lo sviluppo di un’estetica scaturita da ciò che veniva definito per via d’ossimoro un “angenehmes Grauen” o, a seconda del contesto, “une belle horreur” in grado di suscitare sentimenti contrastati, fondendo bello e sublime in un’inedita combinazione.

Le reazioni più equilibrate e meno esposte sul piano della presa di posizione politica sono contenute in ambito renano nelle colonne della Neuwieder Zeitung, un giornale pubblicato in città dalla Stamperia Haupt. Alla data del 17 luglio viene diffuso un resoconto retrospettivo che prende avvio con la notizia della destituzione di Necker dal ruolo di ministro (8 luglio) e con la successiva nomina del barone di Breteuil quale suo successore (11 luglio).

La notizia da Versailles giunge a Parigi, creando un subbuglio tra la popolazione già piuttosto in allerta, che si traduce in un aperto moto di protesta. Stando alle ricostruzioni di Guy Chuassinand-Nogaret, nelle giornate del 12 e 13 luglio a Parigi serpeggiano numerose dicerie e inquietanti sospetti che mobilitano il Terzo Stato. Tra questi, anzitutto il sospetto che il governatore della Bastiglia, Marchese de Launay, avesse ricevuto ordine da Versailles di puntare i cannoni della fortezza verso il quartiere limitrofo di Saint-Antoine per sedare nel sangue la protesta dei civili. Un altro sospetto, sempre secondo ciò che si legge in Chaussinand-Nogaret, voleva che nella prigione della Bastiglia fossero già stati tradotti i deputati dell’Assemblea Nazionale, incarcerati nei terribili sotterranei della fortezza.

Si alternano dunque in quelle ore reazioni di panico e di concitata protesta, puntualmente registrate dai giornali renani. Il più celebre ed eclatante gesto fu, senza dubbio, il corteo organizzato da un manipolo di cinquemila cittadini che prelevarono dal cabinetto di cere di un certo Curtius, presso il Palais-Royal, i busti di Necker e del duca d’Orléans, cugino liberale del re, portandoli per la città quali simboli di giustizia e equanimità fino a quando, presso i giardini delle Tuileries, le truppe del Principe de Lambesc dispersero con la forza le formazioni in quel momento ancora sostanzialmente pacifiche dei manifestanti.

Per riferire di questi eventi, il giornale di Neuwied utilizza quale fonte tacitata la testata prussiana della Haude- und Spenersche Zeitung (foglio Nr. 89) stampata a Berlino. Vi si legge:

Paris, vom 13. Julius. Daß es [scil. das Volk] aber bestürzt ist, bewirkt bloß die unerwartete Entfernung eines Mannes, den es als die Stütze des Staats betrachtet. Kaum war solche bekannt, so wurden alle Schauspiele geschlossen. Man holte aus dem Palais Royal bei einem Manne, der wächserne Figuren zeigt, die Büsten des Herrn Nekker [!] und des Herzogs von Orleans, führte sie durch die ganze Stadt und krönte das Bildniß des Herzogs. Abends erschien der Pöbel bewafnet mit Flinten, Säbeln und Prügeln, und griff alle, die ihm begegneten, auf, um sie zu Theilnehmern ihrer Unruhen zu machen. Er zieht in den Straßen umher und fällt Leute an, die ihm mißfallen. […] Von dem Volke ist keiner getödtet. Ein Partikulier ist verwundet, und als dieser sagte, der Prinz von Lambese [!] habe es mit seinem Degen gethan, so ward dessen Tod geschworen.

[Parigi, 13 luglio. La costernazione [del popolo] deriva dall’allontanamento di un uomo che viene considerato il pilastro dello stato. Non appena si è diffusa la notizia, furono chiusi tutti i teatri. Al Palais Royal si sono presi, da un certo signore che colleziona cere, i busti di Necker e del Duca d’Orléans, portandoli poi in corteo per la città, con la figura incoronata del Duca. La sera il popolo appare armato con fucili, sciabole e clave, invitando chiunque incontrasse ad allearsi e prendere parte alla sommossa. Si aggira per le strade assalendo chi non lo aggrada. […] Tra il popolo nessun ferito. Un privato cittadino è ferito e quando questi ha dichiarato che responsabile era il Principe di Lambesc che l’aveva ferito con la spada, si giurò la morte di quest’ultimo.]

Il resoconto qui riportato – corretto e affidabile nei tratti generali – oscilla tra una connotazione neutrale dell’immagine del “popolo”, definito “Volk”, e una connotazione decisamente più negativa legata alla scelta del termine “Pöbel”. A quest’ultimo vengono associati, nei resoconti di tutti i giornali renani,gli istinti più bassi e le azioni più scellerate. Il 12 luglio, come si evince dagli studi di Flammermont, un gruppo di uomini attacca le prigioni di La Force e della Conciergerie, liberando i detenuti. La notte tra il 12 e il 13 luglio vengono distrutti quaranta edifici doganali della città. Si assalta il monastero di Saint-Lazare alla ricerca di armi e granaglie. I mobili vengono scaraventati dalle finestre, incendiati gli archivi, svuotati i granai. La ricerca di armi spinge alla devastazione delle botteghe di armaioli e sellai. La rispettiva ricostruzione diffusa dalla Neuwieder Zeitung si mantiene generica nei toni pur non risultando fallace nel complesso:

Gestern um 10 Uhr und die ganze Nacht hindurch stürmte man in verschiedenen Kirchspielen, und der Lärm dauerte unaufhörlich fort. Alle Laden, Kaffeehäuser und Boutiquen sind verschlossen; man wagt sich nicht auszugehn, und man sieht nichts als bewaffnete Leute.

[Ieri sera alle dieci si sono assaltate diverse chiese e il rumore perdurò tutta la notte. Caffè e negozi sono sbarrati e nessuno osa uscire, si vedono soltanto circolare persone armate.]

L’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico induce un gruppo di cittadini impegnati nelle elezioni dei rappresentanti degli Stati Generali a dar vita il 13 luglio a una “milizia borghese” di circa tredicimila uomini, capitanata dal mercante Jacques de Flesselles. La richiesta di armi e polvere da sparo da parte della massa radunatasi sulla Place de Grèves diventa nel corso della giornata del 13 luglio sempre più pressante. Dall’Hôtel de Ville vengono prelevati, per ordine dello stesso Flesselles, tre barili di polvere “per prendere la Bastiglia” – come si legge in un registro vergato dall’Abbé Lefevre. Gruppi di uomini che insistentemente chiedevano armi e munizioni vengono inviati invano a cercarne presso chiese e conventi, e ciò getta grave discredito sulla guida di Flesselles.

3. Il mattino del 14 luglio circa settemila uomini si radunano, come racconta Godechot, all’Esplanade des Invalides e fanno irruzione nell’arsenale. Il governatore della caserma, Marchese de Sombreuil, non oppone resistenza. I cittadini ne ricavano diversi cannoni e trentaduemila fucili, senza tuttavia potersi procurare la polvere da sparo e le munizioni necessarie. Al grido “Marchons à la Bastille!”, luogo in cui si sarebbero recuperate polvere e munizioni, prende avvio la manovra di assedio e di distruzione della minacciosa e già per molti aspetti leggendaria fortezza, ritenuta inespugnabile con le sue mura alte più di trenta metri e i suoi fossati larghi più di venticinque. L’odiato carcere di stato, simbolo del despotismo più feroce e disumano, era iscritto ormai da diversi decenni nell’immaginario della pubblicistica internazionale quale sede delle turpitudini più abiette dell’epoca moderna. Nel suo assalto si univano ragioni contingenti e motivazioni simboliche ben radicate nel sentimento comune.

Gli storici scandiscono così gli eventi successivi. Secondo l’esposizione di Albert Soboul, ad esempio, nella mattinata del 14 luglio il direttivo della milizia popolare, radunato all’Hôtel de Ville, esorta il governatore della Bastiglia a una resa pacifica. De Launay rifiuta recisamente, convinto di poter far fronte facilmente alle minacce degli insorti. A quel punto sono le masse popolari a prendere l’iniziativa. Gli abitanti del distretto di Saint-Louis-de-la-Culture inviano al quartier generale della Bastiglia una delegazione guidata da Thuriot de La Rozière, un avvocato lì molto ben conosciuto. Questi ispeziona insieme a de Launay gli spalti della fortezza, constatando – come poi comunicherà ai vertici della milizia popolare – che i cannoni della Bastiglia non erano collocati in posizione d’attacco. De Launay, tuttavia, si rifiuta di consegnare al popolo la polvere da sparo.

4. Mentre La Rozière dibatte all’Hôtel de Ville su come procedere, la massa radunatasi davanti alla Bastiglia prende l’iniziativa e in brevissimo tempo riesce a penetrare oltre il primo ponte levatoio della fortezza. Alle ore 13:30 il governatore de Launay, temendo un attacco frontale, dà ordine alla guarnigione della fortezza, composta da un centinaio di uomini tra “invalides” e svizzeri, di sparare su quanti si trovavano nel cortile intermedio dell’edificio. Su questa decisione si appunta l’attenzione della stampa renana. Viene sparato anche un colpo di cannone, l’unico durante tutto l’assedio. Il gesto viene interpretato come un grave tradimento della causa popolare: si scatena la vendetta e la furia degli assedianti. Migliaia di cittadini si dirigono dal municipio alla fortezza, la maggior parte di loro armati di picche, coltelli, accette e scuri. Dopo qualche tentennamento – si pensava di sparare sulla folla dai bastioni – de Launay, spinto dal consiglio dei suoi uomini che temevano il linciaggio, dichiara intorno alle ore 17 la capitolazione della fortezza. Si registrano un centinaio di morti tra il popolo, settanta feriti, mentre una sola vittima vi fu tra i difensori della Bastiglia.

5. Tutta la manovra d’assalto viene riferita dalla Neuwieder Zeitung in maniera molto succinta. Non si fa menzione degli eventi del mattino, mentre riceve invece molta attenzione il tradimento di de Launay e il destino cui andarono incontro lui e i suoi uomini. Si legge infatti in proposito:

Am Dienstag den 14ten schien alles ruhig. […] Gegen 2 Uhr Nachmittags entstand neuer Lärm. Eine Bürgerkompagnie hatte sich nach der Bastille begeben, um sich mit Gewehr und Munition zu versorgen. Der Gouverneur ließ sie über die Zugbrücke in den Hof, aber kaum waren sie in demselben, als die Zugbrücke aufgezogen ward, und diese Unglücklichen mit Kartetschen und Kanonenschüssen ermordet wurden. Jetzt griff alles zu den Waffen, die Bürger vereinigt mit den französischen Garden bestürmten gegen 4 Uhr die Bastille, die sie nach 2 Stunden, nicht ohne vieles Blutvergiessen, eroberten. 

[Il martedì 14 tutto sembrava tranquillo […] Verso le 2 del pomeriggio si sentirono nuovi rumori. Un manipolo di cittadini si era diretto verso la Bastiglia e per prendere polvere e munizioni. Il governatore li lasciò entrare nel cortile attraverso il ponte levatoio, ma non appena essi furono entrati, il ponte fu fatto levare nuovamente e questi infelici furono trucidati a colpi di mortaretto e cannone. A questo punti tutti impugnarono le armi, i cittadini unitisi alla Garde française assaltarono verso le 4 la Bastiglia e dopo due ore, non senza spargimento di sangue, la conquistarono.]

Nell’immaginario generale, la Bastiglia pullulava di prigionieri, in particolare di prigionieri rinchiusi nei sotterranei. La realtà si trovò invece a collidere con questa aspettativa dell’immaginario che avvolgeva la Bastiglia. Del fatto che nella fortezza-carcere si trovassero rinchiusi al momento della liberazione soltanto sette prigionieri (alcuni, certo, erano stati trasferiti nei giorni precedenti, ad esempio nel carcere di Charenton) e nessuno di loro fosse recluso nei sotterranei, come invece si sospettava, non vi è alcuna menzione nei resoconti renani. Tra i prigionieri liberati vi erano quattro falsari, il Conte di Solages, fatto rinchiudere dalla propria famiglia per condotte immorali, e due folli, chiamati Whyte e Tavernier. Tutta l’attenzione dei giornali si concentra piuttosto sulle scene seguenti la presa della Bastiglia, in particolare sulle agghiaccianti manifestazioni della ‘giustizia popolare’.

La strutturazione retorico-narrativa del resoconto segue il principio di un’escalation dell’orrore, come si legge ancora in questa pagina della Neuwieder Zeitung:

Der Gouverneur de Launay und der Untergouverneur wurden enthauptet, ihre Köpfe auf Stangen gesteckt und durch Paris nach den Palais Royal getragen. Doch noch eine schrecklichere Szene erfolgte: Man bemerkte, daß der Prevot der Kaufleute, Herr von Flesselles, der den Rath gegeben hatte, Munition aus der Bastille zu holen, das Volk verrieth. Sogleich ward er ergriffen, auf den Richtplatz Greve geführt, gezwungen niederzuknieen, ihm der Kopf abgeschlagen, und nun, eben so wie die vorigen, auf einer Stange nach dem Palais Royal gebracht. Nun ward es Nacht, aber alles war rege, und ermunterte sich für die Freyheit zu sterben.

[Il governatore de Launay e il vice-governatore furono decapitati, le loro teste vennero infilzate su due bastoni e portate in corte per Parigi verso il Palais Royal. Ma un’altra scena, ancora più raccapricciante, si verificò: si era notato che il capo dei mercanti, de Flesselles, che aveva dato ordine di recuperare munizioni alla Bastiglia, aveva tradito il popolo. Immediatamente fu catturato, condotto alla Place de Grève, costretto a inginocchiarsi e gli si troncò la testa che, come nel caso dei precedenti, fu issata su un’asta e portata al Palais Royal. Si fece notte, ma tutto era in fermento e tutti si preparavano a morire per la libertà.]

Si può notare in questo snodo finale della narrazione una peculiare biforcazione discorsiva che caratterizzerà in maniera pressoché costante tutta la pubblicistica renana riferita agli avvenimenti successivi della Rivoluzione. Da un lato, inizia infatti a predominare l’attenzione – si direbbe preoccupata e insieme morbosa – per le efferatezze dei gesti di vendetta, accompagnata da un certo indugio sulle scene più raccapriccianti. Dall’altro, si innesta sulla base di quelle descrizioni dall’effetto terrificante – spesso proposte senza soluzione di continuità narrativa – la lode degli ideali di libertà, riscatto e riconquistata dignità umana, come nell’ultimo passo citato. Tali ideali vengono agganciati direttamente alla vicenda concreta della presa della Bastiglia, e promuovono un’impresa semiotica di capitalizzazione simbolica di quell’evento. Celebrazione dell’ideale libertario e descrizione delle atrocità all’interno e all’esterno della Bastiglia si dispongono una accanto all’altra, secondo una logica di accostamento metonimico.

6. Accanto alla vastissima produzione iconografica, di questa seconda tendenza celebrativa e insieme trasfigurante che fa della presa della Bastiglia un atto concreto e simbolico di inconfutabile emancipazione dal dispotismo, si può ricordare quale testimonianza particolarmente eloquente un componimento di Eulogius Schneider intitolato Auf die Zerstörung der Bastille (Sulla distruzione della Bastiglia). In esso si leggono strofe nelle quali si inneggia con tono enfatico alla distruzione di un luogo di soprusi e si canta la fine di un regime arbitrario fondato su lettres de cachet che minacciavano la vita di un “Bürger” idealizzato nel ruolo di vittima sempre innocente. Le macerie della fortezza sono, qui, motivo di incontestabile giubilo:

Dort lieget sie im Schutte, die Bastille. Der Schrecken einer Nation! Dort lieget sie! Die fürchterliche Stille! Durchbricht nicht mehr des Jammers Ton.

[Eccola in rovine, la Bastiglia! Il terrore di un'intera nazione! Eccola! Il suo terribile silenzio non è più interrotto dalla voce dei lamenti]

E ancora:

Dort lieget sie im Schutte, die Bastille. Ein freier Mann ist der Franzos!

[In rovine giace la Bastiglia. Un uomo libero è il francese!]

Il famigerato “je le veux” dei sovrani francesi (“Dies ist mein Wille”) è ora depotenziato e sciolto dalla sua prerogativa di assolutezza. Il destino della borghesia (nel senso storico-contingente del termine) è ora nelle sue stesse mani: “Ein freier Mann ist der Franzos!”. Il componimento di Schneider traduce dunque in versi l’entusiasmo di quell’“effet merveilleux” – l’espressione è di un contemporaneo, Ducray-Duminil – prodotto dalla giornata del 14 luglio e dalla sua narrazione. Con una singolare contaminazione di linguaggio religioso e descrizione cronachistica, proprio il 14 luglio diverrà, ancora nel resoconto di Ducray-Duminil, niente meno che “la journée des miracles”. L’assalto alla Bastiglia, tecnicamente un “crime de lèze-majesté en premier chef”, si presenta in realtà come un’azione sommamente giusta.

7. Di tutt’altro tenore rispetto ai versi di Schneider e al resoconto di Ducray-Duminil sono, invece, le colonne coeve di un altro periodico pubblicato a Neuwied, chiamato Politische Gespräche der Toten (Dialoghi politici dei morti) e redatto da Moritz Flavius Trenck von Tonder. Rispetto alle ripercussioni simboliche della presa della Bastiglia, in esso prevale piuttosto l’articolazione di un certo immaginario raccapricciante della prigione e dei suoi governanti, nonché la descrizione minuziosa dei supplizi e delle esecuzioni riservate a “nemici del popolo” come de Launay.

È dalle pagine dei Politische Gespräche che a Neuwied – e di conseguenza negli altri stati limitrofi – si possono apprendere nel dettaglio le modalità di esecuzione del governatore della Bastiglia ad opera di un certo François Félix Desnot. Questi, come confermerà lui stesso in un processo successivo, intese la decapitazione del governatore con un coltello da cucina come un atto “dicté par le patriotisme”. Il resoconto giudiziario-poliziesco di Desnot, con il suo crudo realismo, bene si coniuga con l’esigenza cronachistica del giornale, ma anche con una nascente estetica che predilige una lettura in chiave sensazionalistica, truculenta e orrifica.

E sono ancora le pagine dei Politische Gespräche, insieme a quelle della Mainzer Zeitung, che alimentano e confermano un certo immaginario lugubre della Bastiglia, non curanti delle risultanze storiche di quei giorni, specie riguardo ai prigionieri realmente liberati. La prigione è lì vista come luogo dell’orrore per eccellenza, scena delle atrocità più disumane, punto finale del “despotismo ministeriale”, punto di appoggio e di conferma, agghiacciante nella sua evidenza, per le teorie più pessimiste sulla natura del genere umano. Luogo dell’“innocenza perseguitata” e “inferno dei viventi” – questi erano due dei più diffusi epiteti della Bastiglia all’indomani dell’assalto. Più che la celebrazione, per quanto contenuta, di una “journée des miracles”, emerge nelle pagine dei Politische Gespräche l’immaginario della distruzione di un “lieu d’horreurs” e le manifestazioni terribili di una “journée de vengéance”.

Il punto di snodo narrativo è il “tradimento” di de Launay che, come si legge nel seguente passo, diventa l’epitome delle ingiustizie perpetrate dal dispotismo e ne paga debitamente il prezzo:

Durch dieses treulose Verfahren noch mehr erbittert schossen die Bürger mit Kanonen so lange auf die Zugbrücke, bis sie von selbst herunter fiel. Nun sturmte alles hinein, und der Gouverneur ward sogleich das erste Opfer der gereizten Wuth, indem er durch einen Flintenschuß todt zur Erde niederstürzte, und 3 Konstabler, welche auf das Volk geschossen hatten, mußten es auf der Stelle mit dem Strange büssen; ein Zeugwart wurde in Stücke zerhauen […]. Man befreite demnach alle Gefangene, und gieng nach dem Hotel des vorsitzenden Bürgermeisters, stürzte die Thüren ein, und bemächtigte sich dessen Person. Nach einigem Wortwechsel stürzte auch dieser durch einen Pistolenschuß todt zur Erde, und eben als man seinen Körper die Stiegen hinunter warf, wurde auch die Leiche des Gouverneurs von der Bastille herbeigeschleppt. Beide Leichen wurden elendiglich zerstümmelt, ihre abgetrennten Köpfe auf Picken gesteckt und so durch die Stadt zur Schau herumgetragen.

[A seguito di questo comportamento sleale i cittadini amareggiati iniziarono a sparare con i cannoni verso il ponte levatoio, fin quando questo cadde. Tutti si precipitarono all’assalto e il governatore fu la prima vittima della furia degli agitati che con un colpo di fucile lo stramazzarono a terra insieme a tre guardie che avevano sparato sul popolo e che pagarono con il sangue il loro atto. Un custode fu dilaniato e fatto a pezzi […] Si liberarono poi tutti i prigionieri e ci si diresse verso la dimora del sindaco, si sfondarono le porte e ci si impossessò della sua persona. Dopo un breve scambio di parole, anche questo fu ammazzato con un colpo di pistola, e mentre si rovesciava il suo corpo lungo le scale, anche il cadavere del governatore fu trascinato fuori dalla Bastiglia. Entrambi i cadaveri vennero orribilmente mutilati, le teste mozzate furono issate su delle picche e condotte come trofei per la città.]

In diretta correlazione rispetto alle rappresaglie e ai cortei macabri, segue una breve descrizione dell’abbattimento della Bastiglia, come la si ritrova del resto in molte raffigurazioni dell’epoca e successive, nonché del significato simbolico di liberazione e purificazione ad opera delle fiamme:

Während diesem Vorgange hatte ein anderer Haufe die Bastille in Brand gestecket. Das Feuer wurde zwar wieder gelöscht; allein das ganze Gebäude ist völlig zu Grunde gerichtet; und, obgleich die Bürgerwache dasselbe besetzt hat, so wird doch innerhalb 8 Tagen kein Stein davon mehr auf dem anderen stehen, so, daß von diesem Staatsgefängniße selbst die Spur nicht mehr bleiben soll.

[Mentre ciò accadeva un altro manipolo di uomini aveva dato fuoco alla Bastiglia. Il fuoco venne di nuovo subito spento; tutto l’edificio era ridotto al crollo; e benché la milizia popolare ne abbia preso possesso, esso verrà entro 8 giorni distrutto e non resterà nemmeno una pietra, in modo che di questa prigione di stato non rimanga nemmeno una traccia]

Radere al suolo la Bastiglia era visto, da un lato, come il concreto gesto di riscatto da una tradizione di ingiustizie che si voleva concludere, dall'altro, tale gesto doveva fungere da nemesi storica rispetto a una lunga tradizione pubblicistica che aveva alimentato intorno all’immagine della Bastiglia non solo la diffusione di notizie circa le reali condizioni del carcere e dei suoi detenuti, ma anche la proliferazione di materiale inventato atto ad amplificare i risvolti raccapriccianti legati alla memoria di quel luogo.

L’esiguo numero di prigionieri realmente liberati, così come l’assenza di reclusi nei sotterranei, collidevano perciò con le aspettative che si erano prodotte nell’immaginario collettivo della Bastiglia e che alla luce di molti commenti ne avevano giustificato la distruzione. Lo storico Frantz Funck-Brentano ha scritto, in proposito, che nella seconda metà del XVIII secolo la Bastiglia era in realtà un carcere tutto sommato ‘di riguardo’, se paragonato ad altri penitenziari francesi che invece erano assolutamente esclusi dal grande immaginario collettivo dell’epoca. I sotterranei non erano più in uso dal 1735 e i detenuti, al momento della presa, erano appunto soltanto sette. E tra di loro da tempo non vi erano più scrittori o letterati.

8. Viene dunque probabilmente da queste discrepanze apertesi tra racconto e fatti l’esigenza sentita da numerosi organi di pubblicistica tedesca, tra cui appunto i Politische Gespräche, di elaborare biografie finzionali di “martiri della Bastiglia” da esporre all’attenzione del pubblico come modelli di una sofferenza interrotta soltanto a seguito della rivoluzione del 14 luglio.

Tra le biografie inventate che riscossero maggior approvazione e successo vi è senza dubbio quella del “Conte de Lorges”, descritto come un vecchio canuto che aveva trascorso diversi decenni della sua esistenza sopportando gli orrori della Bastiglia. Commentando il volantino francese intitolato Le Comte de Lorges prisonnier à la Bastille pendant 32 ans, enfermé 1757 & mis en liberté le 14 juillet 1789, le colonne dei Politische Gespräche riportano ai lettori renani, con tutta la potenza retorica dell’ipotiposi, le vicende di questo intellettuale “martire” del dispotismo e delle ritorsioni di Madame de Pompadour:

Diese Schrift enthält die Schicksale des Grafen von Lorges, und wird zu Paris viel gelesen. Dieser unglückliche Graf hatte die Unvorsichtigkeit, die berühmte Courtisane Pompadour, Beischläferin Ludwigs des 15ten König in Frankreich zu beleidigen. Er brach über sie mit Schriften los, weil sie in Frankreich, so zu sagen, regierte, weil sie Staatsminister und Generäle ernannte, weil sie alle Ehrenstellen in Frankreich vergab, und weil die Franzosen sich so weit erniedrigten, unter ihr zu kriechen.

[Questo scritto narra dei destini del Conte di Lorges ed è molto letto a Parigi. Questo conte infelice ebbe l’ardire di offendere la celebre cortigiana Pompadour, amante di Luigi XV re di Francia. Su di lei pubblicò molti scritti polemici perché ella era colei che regnava in Francia, nominava ministri di stato e generali, dispensava le cariche onorifiche, umiliava i francesi a strisciare ai suoi piedi].

Della reale esistenza di questo personaggio non si ha alcun riscontro storico stringente che lo identifichi almeno con quel nome. Ma certo la sua memoria era ben radicata nell’immaginario generale legato alla Bastiglia. Il Conte de Lorges emergeva come la figura di un libero intellettuale e pensatore animato dai più alti ideali di un’amicizia fraterna e della lealtà, condannato per la sua palese denuncia degli abusi e delle prepotenze del mondo di corte.

9. Al rafforzamento di questo immaginario insieme orrifico, ma anche atto a ingenerare un senso di caritatevole pietà e umana immedesimazione, finalizzato non da ultimo a un’interpretazione e a una giustificazione degli avvenimenti rivoluzionari, erano dedicate le pagine di un’altra importante pubblicazione uscita a Nuewied nel 1789 a firma di Ludwig Ysenburg von Buri (nato a Bierstein/Isenburg in Assia il 21 giugno 1747 e morto dopo una carriera da ufficialmaggiore a servizio del conte Wiedrunkel di Dierdorf il 7 marzo 1806 a Gießen), personaggio oggi molto poco noto, ma all’epoca fondamentale in territorio renano per la diffusione di notizie e orientamenti interpretativi rispetto alla Rivoluzione parigina.

Il titolo della sua pubblicazione annunciava esattezza storica: egli stava infatti consegnando alla sfera di un’opinione pubblica sempre più interessata una Sammlung der zuverläßigsten Nachrichten, die neueste Revolution in Frankreich betreffend cioè, secondo le sue intenzioni, una “raccolta delle più affidabili notizie sulla più recente rivoluzione in Francia” articolata in due volumi e in tempo reale: il primo volume uscì nel 1789, seguito l’anno successivo dal secondo. A ben vedere, tuttavia, la componente finzionale gioca anche in questo testo un ruolo se non predominante, almeno paritetico, rispetto al racconto rigorosamente storico della successione degli eventi. E lo dimostra proprio la proliferazione nel testo di Buri di descrizioni degli interni della Bastiglia che non trovarono riscontro oggettivo nelle effettive scoperte degli assedianti il 14 luglio 1789, ma che sembravano piuttosto essere state tratte da pagine di letteratura orrifica scritte proprio in quei mesi a ridosso del mito angosciante della Bastiglia. Così scrive infatti Buri, riportando le informazioni di un presunto “testimone oculare”:

Fürchterlich war das dumpfe Geheul der Unglücklichen, die unter den Thürmen in Löchern schmachteten. Nur wenige wurden gerettet, und die übrigen sind ohnfehlbar des schrecklichen Hungertodes gestorben; denn nach einigen Tagen hörte man keine Stimmen mehr aus der Tiefe. – Wie viele dergleichen schauervolle Anblicke werden die demnächst haben, welche, wenn das Gebäude ganz geschleift seyn wird, die Ruinen hinweg räumen, und diese Gräber der Lebendigen öfnen!

[Orribile era il lamento confuso degli infelici che languivano nei pertugi sotto le torri. Solo pochi furono salvati, mentre gli altri sono morti orribilmente per fame; dopo qualche giorno, infatti, non si sentivano più voci. Quante altre visioni orrifiche si mostreranno presto, quando l’edificio sarà smantellato completamente, le rovine rimosse e aperte queste tombe dei viventi!

Con il ricorso all’immagine di creature sepolte vive (“Gräber der Lebendigen”) negli anfratti della fortezza, Buri si collega evidentemente a un immaginario archetipico tradizionale che fa esplicitamente leva sull’evocazione del dolore estremo patito dalle vittime, con un’insistita accentuazione della componente di inermità creaturale delle stesse, mirata a provocare un senso di commiserazione, di pietà e di compartecipazione emotiva da parte di lettori scossi e commossi. La descrizione degli orrori carcerari della Bastiglia si allea così con una poetica del brivido e della pietà che ha per obiettivo il coinvolgimento emotivo totale del lettore, reso così più duttile rispetto a una determinata proposta interpretativa degli eventi, presentati come la riscossa storica da soprusi patiti, inveterati e non più tollerabili.

Più l’immagine spaventosa della Bastiglia si consolidava nell’opinione dei lettori, più agile sarebbe stata la dimostrazione della necessità e della liceità morale del suo assalto. Questa strategia discorsiva si mostra in numerosi passi del testo di Buri, collocati come interpolazioni ad alto grado di pathos nello sviluppo altrimenti piuttosto sobrio e oggettivo della narrazione degli eventi.

Si può citare ad esempio la seguente descrizione di un condannato a morte che sembra essere l’ékphrasis di una delle numerose raffigurazioni immaginate degli interni della Bastiglia che circolavano all’epoca. Scrive Buri:

Der unglückliche Gefangene, dem diese Todesstrafe bestimmt war, wurde aus seinem Kerker geholt, und von dem Gouverneur in ein Zimmer geführt, das das letzte Wort (le dernier mot) hieß. […] Eine im Fußboden angebrachte Fallthüre öffnete sich, der Unglückliche verschwand und fiel auf ein mit scharfen Messern versehenes Rad, welches durch verborgene Federn in Bewegung gesetzt wurde, und sein Leben endigte indem es auf die martervollste Weise seine Glieder in Stücke zerriß. – Der gefühllose Zeuge dieses fürchterlichen Ausgangs verließ die Mörderhöhle nicht, bis er die letzten Seufzer seines Opfers gehört hatte.

[L’infelice carcerato condannato a morte fu prelevato dalla sua cella e condotto dal governatore in una stanza in cui avrebbe ascoltato l’ultima parola (le dernier mot). […] Una botola sul pavimento si aprì, l’infelice scomparve cadendo su una ruota munita di affilati coltelli, messa in azione da meccanismi nascosti; la sua vita si conclude nel modo più straziante mentre le membra vengono dilaniate. – Lo spettatore insensibile di questo orribile esito non lasciò quell’antro omicida fintanto che ebbe sentito l’ultimo sospiro della sua vittima.]

In questo passo Buri elabora fedelmente un resoconto che aveva trovato nello scritto anonimo Les Oubliettes retrouvées dans les souterrains de la Bastille uscito a Parigi nel 1789 e da lui tradotto in tedesco per le pagine della sua Sammlung. Accanto all’evocazione di una ctonicità orrida (i sotterranei della prigione) si affaccia qui una contrapposizione netta tra la gelida spietatezza del carnefice, da un lato, e l’assoluta inermità della vittima, dall’altro. Entrambi, privati di una caratterizzazione individualizzante, sono piuttosto dei modelli o tipi generali, facilmente memorizzabili e decisamente incisivi nella loro conformazione identitaria.

L’assoluta impermeabilità della Bastiglia – evocata dall’immagine del frontespizio scelta da Buri per il primo volume della sua raccolta – aveva contribuito ad alimentare la curiosità del lettore per ciò che accadeva all’interno, per quella scena sottratta allo sguardo che la scrittura si incaricava invece di evocare. Buri recupera nel suo volume un’incisione realizzata da un certo Cöntgen, il quale a sua volta aveva riprodotto il frontespizio di un’opera di Constantin de Renneville, L’inquisition française ou l’histoire de la Bastille, pubblicata ad Amsterdam nel 1715 e subito tradotta in tedesco con il titolo Entlarvte französische Inquisition (Norimberga 1715). In tale incisione l’immagine arcigna e minacciosa della fortezza faceva, per così dire, da esergo a tutto il narrato orientandone la prospettiva. Come ha chiarito uno studio di Rolf Reichardt, il libro di Renneville raccoglieva le esperienze autobiografiche dell’autore e denunciava il carattere infernale della prigione intorno al 1715, paragonandola all’inquisizione in Perù. Renneville, doppio agente francese-olandese ritiratosi dopo la scarcerazione in un esilio londinese, aveva poi dettagliatamente descritto e denunciato le nefandezze dell’allora governatore della Bastiglia, Charles de Fournière de Bernaville, presentandolo come un abietto parassita che si arricchiva con i beni degli incarcerati sottoponendoli a inenarrabili sofferenze. Nelle intenzioni di Buri la figura del funzionario crudele diviene l’emblema di un apparato ministeriale diabolico e corrotto responsabile di aver incrinato il legame tra il sovrano e il suo popolo vessato.

La scelta di Buri di porre nel frontespizio proprio l’immagine tratta dalle memorie di Renneville evoca così un preciso orizzonte intertestuale e interfigurale. Catartico doveva dunque risultare il passaggio all’immagine del secondo volume della sua Sammlung, nella quale erano raffigurati la distruzione e lo svelamento alla luce del sole della Bastiglia nei suoi recessi più nascosti. Non a caso infatti il secondo volume della raccolta buriana propone l’immagine di una Bastiglia distrutta, a creare con questo “dopo” un pendant necessario e liberatorio all’inespugnabilità del prima. Così scrive l’autore a commento delle immagini:

Nach der Eroberung der Bastille war die erste Sorge der Stürmer, sie niederzureißen. Sie kletterten auf die Thürme und warfen die größten Steinmassen herunter, die so unzerstörbar waren, daß die Stücke von der ungeheueren Höhe auf das Pflaster ohne die mindeste Beschädigung niederfielen.

[Dopo la presa della Bastiglia, la prima preoccupazione degli occupanti fu quella di distruggerla. Si arrampicarono sulle torri e scagliarono a terra le grosse pietre che erano talmente indistruttibili da risultare intatte anche dopo l’impatto col suolo.]

10. Parallelamente all’edizione della Sammlung, Buri procede all’elaborazione e alla messa in scena di un dramma in quattro atti, iscritto nella tradizione del “Trauerspiel” e intitolato Die Bastille. Restituito alla fruizione moderna da un’accurata edizione filologica condotta da Reiner Marx nel 1989, il dramma di Buri si colloca oggi ai margini più periferici dell’attenzione critica, pur rappresentando un documento storico-letterario significativo per indagare la ricezione degli eventi parigini del luglio 1789 nella pubblicistica renana, e in particolare neuwidiana. Il dramma fu pubblicato per la prima volta nel Dodicesimo Volume della Deutsche Schaubühne nel 1790, sostanzialmente anonimo, ovvero con il sottotitolo “Nach französischen Originalen bearbeitet von K. B.” (Rielaborato sulla base di originali francesi da K. B.). Lo stesso anno uscì un’edizione del dramma a Breslavia e Brieg. I commentatori sette e ottocenteschi non si pronunciarono sulla paternità dell’opera. A ricondurre le iniziali “K. B.” alla figura di Buri, fugando dubbi sul suo ruolo di autore, fu anzitutto Reinhart Meyer nel 1977. Il giudizio fu confermato da Gonthier-Louis Fink nel 1983 e infine ribadito da Reiner Marx nell’edizione menzionata dell’opera.

Le vicende messe in scena sono in gran parte ambientate nella Bastiglia e negli ambienti domestici di alcuni parenti degli incarcerati. Per quanto riguarda il momento, non vi sono indicazioni di data dirette da parte del testo; gli accadimenti narrati permettono, tuttavia, di collocare l’azione tra la sera del 13 e la mattina del 14 luglio 1789, dunque in un momento decisivo per le sorti della Rivoluzione. La trama prevede sullo sfondo le vicende di tre prigionieri della Bastiglia – un certo Odrikot, un irlandese arrestato per permettere al nipote del governatore della prigione di corteggiare sua moglie; un “pazzo melanconico” di nome Du Bois, incarcerato per una serie di proposte di riforma economico-fiscale esposte in maniera irrituale alla corte del re; un “vecchio ottuagenario” non meglio precisato, nel quale tuttavia si possono riconoscere i tratti del personaggio del Conte di Lorges di cui si è detto sopra. I tre personaggi, privati di ogni loro diritto fondamentale, sono sottoposti alle arbitrarie vessazioni del “Governatore” della Bastiglia, del “Presidente” della stessa e delle guardie.

Il conflitto che si profila è immediatamente posto nei termini di un’usurpazione della dignità umana a causa di un regime dispotico che trasforma i prigionieri, spesso ignari delle loro colpe e isolati da ogni contatto con l’esterno, nelle “vittime sacrificali del dispotismo” infliggendo loro “agghiaccianti soprusi” (Atto I, scena I, p. 5).

Rispetto a quanto veniva esposto nei giornali di Neuwied, anche il dramma di Buri si mostra perfettamente congruente, specie riguardo alla caratterizzazione della Bastiglia. Essa viene definita, infatti, per mezzo degli epiteti ricorrenti nella pubblicistica coeva. Si parla infatti della Bastiglia come di un “terrificante esempio di disumanità” (p. 32), un “covo di sanguinari aguzzini” (p. 39) che nel “vuoto infinito delle sue immense torri”, nelle “celle più raccapriccianti”, agisce sui prigionieri con la più crudele “tortura dell’animo” (p. 29): nelle “mura impenetrabili del carcere si sottrae loro il mondo a cui appartenevano” ed essi sono “soli, nudi, prostrati nella loro condizione inerme”, in balia di guardiani che su di loro “dispongono di ogni diritto” (p. 24).

Se la figura del canuto ottuagenario ha perso tutta la sua famiglia, avendo trascorso quasi cinquant’anni in prigione, e – ottenuta la liberazione – preferisce tornare alla Bastiglia piuttosto che vivere quanto gli resta nel “deserto di un mondo che non lo riconosce più” (p. 22), nel caso degli altri personaggi il dramma mette in scena gli strazianti tentativi dei famigliari di avvicinarsi ai detenuti. Qui la componente orrifico-sublime legata alla descrizione diretta o indiretta del carcere, si mescola alle istanze del dramma borghese e, in particolare, di una dimensione privata devastata dai tentacoli del dispotismo.

È il caso anzitutto di Odrikot e della sua famiglia. La moglie di costui, assediata da Corbée, il nipote del governatore della Bastiglia che tenta di sedurla, cerca in ogni modo di ritrovare il marito. Fondando la sua forza morale sull’integrità della sua condotta, secondo un evidente modello ispirato tacitamente dalle eroine lessinghiane, Lady Odrikot cerca aiuto nella mediazione del Maggiore, una figura che sin dalla prima scena costituisce un contraltare rispetto all’indole abietta e all’agire criminale dei funzionari del carcere. Per mezzo suo, la donna riesce a ottenere un colloquio con il marito che, persa ogni speranza di modificare la propria situazione, descrive alla moglie il tormento di un eterno ripetersi di un’atroce quotidianità carceraria (pp. 28-30).

Per mezzo dei numerosi personaggi del dramma, Buri cerca di dare uno spaccato quanto più realistico dei sentimenti popolari che circolavano in città alla vigilia dell’assalto alla Bastiglia e nella decisiva giornata del 14 luglio. La folla non compare direttamente sulla scena, se non per allusione nei discorsi dei personaggi. Le masse popolari occupano tuttavia un posto centrale nell’immaginario di questi personaggi e i giudizi di valore che essi esprimono sono in netta opposizione tra loro. Ciò emerge, in particolare, in relazione al personaggio di Duval, un banchiere arrestato per mezzo di una lettre de cachet, accusato di aver fatto un prestito ad un aristocratico e di aver osato richiedere il rientro di tale prestito. La questione, tutt’altro che peregrina nel tardo regno di Luigi XVI, àncora la vicenda di questo personaggio agli accadimenti cittadini coevi, rendendo sulla scena un potentissimo effetto di realtà.

Il figlio di Duval, mediatore scenico tra l’interno della Bastiglia e i crescenti moti popolari all’esterno, riflette in numerosi monologhi o dialoghi con la sorella Ninon, sulle aporie e i rischi dell’azione rivoluzionaria. Nella terza Scena del secondo Atto legge alla sorella una lunga lettera indirizzata dal padre alla figlia, sua sorella:

Liebe unglückliche Tochter! – Dein Vater ist in der Bastille. Mein Verbrechen ist mir nicht bekannt, ich bin gar nicht darüber verhört worden; man sagt, das sey den Gesetzen der Bastille zuwider. […] Laß Deinen Bruder meine Papiere durchsehn, er wird finden, was er braucht. Nur beschwöre ihn, liebe Tochter, sich nicht seiner Heftigkeit zu überlassen; unser Vaterland ist jetzt in einer Gährung, wo jeder neue Zuwachs gefährliche Zerstöhrung bringen kann. Es dürfen nur noch neue Ungerechtigkeiten bekannt werden, und das unter der Asche glimmende Feuer bricht los. Ich beschwöre daher meinen Sohn ruhig und still zu Werke zu gehen, denn ich will lieber alles aufopfern und zum Bettler werden, als die unschuldige Ursache einer Revolution seyn, welche allezeit mehr Schaden als Nutzen bringt. (p. 19)

Mia amata e infelice figlia! – Tuo padre è rinchiuso alla Bastiglia. Il mio reato mi è ignoto e non sono nemmeno stato interrogato; si dice che ciò contravverrebbe alle leggi della Bastiglia. […] Chiedi a tuo fratello di controllare tra le mie carte, troverà ciò che cerca. Ma che giuri, cara figlia, di non cedere alla passione; la nostra patria è in fermento e ogni nuova scossa può portare una pericolosa distruzione. Basta che si scoprano altre ingiustizie perché il fuoco che cova sotto la cenere divampi. Scongiura mio figlio di rimanere calmo e di procedere quieto nella sua opera; preferisco sacrificare tutto e diventare un mendicante, piuttosto che essere la causa innocente di una rivoluzione che sempre arreca più danni che benefici.]

Ciò che il padre teme di più – più della sua stessa rovina – sono gli accessi di ira rivoluzionaria che potrebbero impossessarsi del figlio inducendolo a prendere parte ai moti popolari, convinto di raggiungere così l’obiettivo personale della liberazione del padre. Tutta la lettera è un’esortazione alla pacatezza piccolo-borghese, alla moderazione, al controllo delle passioni. Alla metaforica tradizionale degli eventi rivoluzionari (“esplosione”, “fuoco che cova sotto la cenere”, “fermento crescente”, “distruzione”) Duval contrappone l’immagine di un “agire lento e costante” (“ruhig und still zu Werke zu gehen”), eredità dell’agire pratico propria del pensiero tardo-illuminista, che alle accelerazioni incandescenti della rivoluzione oppone il tempo organico dell’azione ponderata e, soprattutto, non violenta.

Il dissidio su come agire nei confronti della proposta rivoluzionaria, che nel dramma si fa sempre più pressante, è portato in scena dalle riflessioni di Duval figlio. Indeciso se prendere parte ai preparativi per l’assalto alla Bastiglia, nella notte tra il 13 e il 14 luglio il giovane Duval espone le angosce derivate dal suo essere ad un bivio etico. Tra morsi di coscienza e valori della provincia, si apre un’argomentazione non certo isolata tra le fila del pubblico neuwidiano:

Ist mirs doch, als ob bey jedem Schritte eine unsichtbare Hand mich zurück hielte – eine geheime Stimme flüstert mir unaufhörlich das Wort Rebell in die Ohren, und der Wiederhall dieses Flüstern ist um so fürchterlicher, je mehr ich fühle, daß ich es bin. Rebelle! – kamst du deshalb aus deiner friedlichen Provinz hieher, um ein Zerstöhrer bürgerlicher Ordnung zu werden, und Gesetze, die seit Jahrhunderten befolgt wurden, in einem Augenblicke zu vertilgen? Unglücklicher! Sollen diese Hände sich mit dem Blute deiner Landsleute färben? […] Ist Rebellion der Weg, einen Vater zu retten? […] O Himmel, wie soll ich diese Widersprüche in meiner Seele vereinigen? (p. 37)

[È come se ad ogni passo sentissi una mano invisibile che mi trattiene – una voce segreta mi sussurra incessantemente alle orecchie la parola ribelle e l’eco di questo sussurro mi risulta tanto più orribile tanto più sento che sono io quel ribelle! – sei venuto dalla tua pacifica provincia per divenire un devastatore dell’ordine civile e annullare in un attimo leggi che si seguono da secoli? Infelice! Le tue mani devono macchiarsi del sangue del tuo compatrioti? […] La ribellio è la via giusta per salvare un padre? […] Cielo, come posso comporre queste contraddizioni della mia anima?]

Lo spettro della rivoluzione intesa come una forza che travolge nel sangue e nella violenza la tradizione, le tradizioni, l’ordine della vita privata, l’ordine degli affetti, procurando traumatiche rotture, aleggia come uno spettro nelle riflessioni del giovane Duval. È lecito ritenere che in queste riflessioni si riconoscesse gran parte del pubblico trans-renano dell’epoca. La sorella di Duval è decisiva per far desistere il fratello dalla tentazione rivoluzionaria. Le sue parole sembrano aver bene in mente ciò che sarebbe/era avvenuto nella realtà con personaggi come Desnot: l’avanzamento di una nuova inflessibile mentalità che, in nome delle idealità più alte, avrebbe travolto quelle stesse idealità nel sangue. Così infatti la ragazza interroga il fratello:

Glaubst Du, daß dieser aufgebrachte Haufe Volks bey einer That wird stehen bleiben. O nein, gelingt ihnen nur eine, so folgen die andern von selbst. Ihre erhitzte Einbildungskraft wird ihnen sodann Träume republikanischen Glücks bilden, sie werden von Stufe zu Stufe zu Verbrechen fort eilen, bis endlich der rächende Arm der Gerechtigkeit wird nicht ausbleiben, eine Menge Opfer werden bluten, ach, und mein Bruder wird die Zahl dieser Opfer vermehren. (p. 38).

[Credi che questo popolo sollevato si arresterà dopo aver compiuto la sua azione? O no, se riuscirà nel suo intento, seguiranno altri obiettivi. La loro fantasia surriscaldata produrrà in loro sogni di felicità repubblicana, saliranno di gradino in gradino verso crimini inusitati fin quando il braccio vendicatore della Giustizia farà un mare di sangue e tu non vorrai, fratello mio, aumentare il numero di queste vittime].

Con una significativa operazione figurale, il discorso di Ninon trasforma il “sogno di una felicità repubblicana” nel motore di una progressiva ascesa non verso il bene ma, al contrario, verso nefandezze sempre più orribili. La metaforica della Scala naturae (“Stufe zu Stufe”) non conduce qui ad una progressione etico-morale, ma al contrario sostanzia un percorso di declino ed efferatezza nel quadro di un agire rivoluzionario.

A questa aporia tra quietismo conformista, da un lato, e imprescindibili crimini legati alla rivoluzione, dall’altro, il dramma di Buri non sa offrire una risposta esplicita o esteticamente complessa, ma certo elabora, seppure in maniera ancora preliminare, una figura, quella del Maggiore, che fa di un agire caritatevole e della coscienza del dovere morale legato alla posizione di ogni singolo individuo il perno per una possibile evoluzione graduale, per un’azione benefica, per una progressione che non costi sangue, per una “emancipazione dell’uomo attraverso l’uomo” sotto l’egida della pietà. Il primo dramma di Buri si conclude – affrettatamente e forzatamente – con una rivoluzione felice, con singoli attori in grado di porre un freno al divampare della violenza e di mantenere saldo “l’ordine generale”. La connotazione utopica conferita alla figura del Maggiore e di questo finale così forzatamente irenico, soprattutto rispetto ai reali avvenimenti di quegli anni, è certo patente e le aporie dell’agire rivoluzionario avrebbero posto ben altri quesiti. Buri tenterà una nuova risposta in drammi successivi, ma la poetica della pietà e della compassione inaugurata nella sua opera con la figura del Maggiore costituirà la sua risposta o la sua alternativa al dilemma dell’agire rivoluzionario.

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Biografia autore

Guglielmo Gabbiadini

Guglielmo Gabbiadini è studente iscritto al Corso di Dottorato in Letterature Euro-Americane dell'Università degli Studi di Bergamo. La sua ricerca verte principalmente sulla genesi e le funzioni del "mito del duale" nelle pratiche culturali dell'età goethiana.

Pubblicato

15-12-2013

Come citare

Gabbiadini, G. (2013). La presa della Bastiglia nella pubblicistica di Neuwied: note sul dramma “Die Bastille” di Karl Y. von Buri. Elephant & Castle, (9). Recuperato da https://elephantandcastle.unibg.it/index.php/eac/article/view/431

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