Editoriale
Abstract
Questo numero monografico si propone come un’esplorazione del concetto di “trasparenza”, declinato al plurale per evidenziarne l’eterogeneità degli ambiti e delle possibili prospettive di indagine così come la straordinaria potenzialità figurale. Nelle settimane in cui il numero prendeva forma, la città che ha dato i natali a questa rivista è divenuta l’epicentro di una pandemia globale che ha stravolto le esistenze, i ritmi lavorativi, i rituali del lutto di migliaia di persone. Ma l’emergenza ha anche dimostrato, una volta di più, quanto il concetto di trasparenza sia radicato nelle strutture profonde che articolano il nostro modo di dare senso all’esperienza e immaginare il rapporto con il mondo. Dalle richieste di trasparenza nella comunicazione istituzionale dei dati dell’epidemia alla trasparenza assoluta – Riccardo Donati direbbe ‘purovisibilità’ (2016) – delle barriere in plexiglass incaricate di tenerci al sicuro nel mondo che verrà, e ancora dalle finestre attraverso cui abbiamo guardato il silenzio delle strade nelle settimane di lockdown alle visiere protettive che hanno lasciato intravvedere le emozioni di medici e infermieri impegnati in prima linea, la pandemia ci ha consegnato narrazioni e immagini che dimostrano il potere della trasparenza di costituirsi come un ideale da inseguire e al contempo come un dispositivo dai risvolti sinistri, capaci di evocare immediatamente scenari distopici e post-apocalittici. Il numero monografico indaga le molteplici e complesse sfaccettature di questa ambivalenza, attraversando diverse discipline e diversi linguaggi, restituendoci la centralità e la pervasività della trasparenza nella nostra cultura.
Da diversi anni il concetto di trasparenza ha conquistato un ruolo di primo piano nel discorso giornalistico e televisivo: vera parola d’ordine e imperativo di amministrazioni, programmi politici e misure economiche, la trasparenza viene evocata per richiamare valori come onestà, limpidezza ed efficienza, ritenuti essenziali per il funzionamento dell’apparato istituzionale, politico ed economico della società contemporanea. La trasparenza diventa un concetto chiave all’interno della comunicazione politica del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, indagata dal contributo di Giulia Magazzù. Analizzando un corpus di messaggi Twitter pubblicati in occasione degli incendi in California del 2018, il saggio dimostra come Twitter si riveli un social network le cui pratiche discorsive appaiono particolarmente congeniali per il nuovo stile comunicativo portato avanti da Trump, che si avvale della trasparenza non solo sul piano contenutistico ma anche su quello formale, attraverso strategie grammaticali e lessicali atte a trasmettere il senso di una comunicazione autentica, immediata e autorevole. La necessità di problematizzare o demistificare la presunta naturalità della trasparenza attraversa diversi contributi di questo numero, a riprova di come l’ideale della visibilità totale sia fortemente caricato dal punto di vista ideologico. Nel contributo di Francesca Di Blasio, la trasparenza qualifica non tanto l’operazione dello sguardo osservante quanto piuttosto l’oggetto della visione stessa: nella storia della colonizzazione britannica dei territori australiani, le popolazioni autoctone, la loro cultura e la loro funzione di rappresentanza politica sono state costrette alla trasparenza. Di contro a questo processo, le opere letterarie di autori indigeni esaminate nel saggio mirano a ripristinare un’opacità che possa rendere nuovamente visibili i corpi e le loro storie. Da una prospettiva diversa, anche il contributo di Giuseppe Previtali illustra come la trasparenza venga impiegata nella cultura visuale legata alla ‘guerra trasparente’ per occultare la sofferenza, la brutalità e la violenza delle operazioni belliche. Soffermandosi su varie tipologie di immagini, dai droni utilizzati per le ‘operazioni chirurgiche’ alle contro-narrazioni jihadiste, il saggio mette in relazione il desiderio di assoluta visibilità e la de-materializzazione della guerra in immagini anestetizzate e prive di corpi nell’immaginario occidentale contemporaneo.
La trasparenza come strumento di potere è al centro del saggio di Chiara Davino e Lorenza Villani, inteso a esaminare le strategie di controllo e normalizzazione che operano durante situazioni emergenziali. Attraverso l’analisi di due case studies (il progetto europeo iBorder Ctrl, per il controllo dei flussi alle frontiere e quello cinese Social Credit System, basato sull’attribuzione di punteggi di credito ‘sociale’ a cittadini e aziende), il saggio illustra le contraddizioni intrinseche alla trasparenza, che si propone come paradigma di sistemi digitali finalizzati all’accessibilità totale dei dati raccolti ma funziona per lo più come dispositivo di sorveglianza e controllo unilaterale. La questione dell’accesso ai dati è di vitale importanza nella società della trasparenza (Han 2014), che postula la natura oggettiva dei dati elaborati e legittimati da scienze dure come la matematica, la statistica, l’informatica. Il duo artistico Art is Open Source (Salvatore Iaconesi e Oriana Persico), il cui progetto Datapoiesis costituisce il fuoco del saggio di Flavia D’Amico, problematizza questo tipo di trasparenza, mostrandoci la permeabilità e la plasticità dei dati che ci circondano e che noi stessi produciamo. Attraverso oggetti datapoietici, il duo ci invita a sperimentare sensorialmente la natura dei dati, scardinandone la presunta immaterialità e intangibilità e mettendo a nudo (ma anche riplasmando e ricombinando) i nostri saperi e le nostre conoscenze.
Esplorare la trasparenza implica riflettere sugli effetti che gli ideali della totale visibilità e della totale esposizione provocano, inevitabilmente, sul corpo. Dall'inizio del ventunesimo secolo, l'interno del corpo è diventato una presenza culturale pervasiva grazie alle tecniche di imaging diagnostico quali i raggi X, l’endoscopia, la risonanza magnetica, che sono l’incarnazione materiale di desideri e fantasie collettive che ruotano attorno alla trasparenza corporea (van Dijck 2005). Rivolgendosi al periodo vittoriano, il saggio di Greta Perletti rintraccia la diffusione di narrazioni improntate al desiderio di aprire il corpo per renderlo trasparente allo sguardo e ricavarne un’immagine ideale che produca la verità della malattia e della devianza. Lo sguardo di medici e detective, mediato e potenziato da strumenti come lo stetoscopio, la lente e la macchina fotografica, diagnostica le disfunzioni del corpo individuale e sociale, generando fascino e orrore per la totale messa a nudo dell’interiorità nascosta e anticipando le narrazioni che accompagneranno l’emergere dell’imaging medico a partire dal 1895. Con le tecnologie contemporanee, come illustra il saggio di Silvia Casini, il paradigma della trasparenza non appare più sufficiente per comprendere la fisionomia della biomedicina contemporanea. Al corpo molare (composto da arti, organi e tessuti) e al suo ideale di trasparenza si sostituisce oggi il corpo molecolare (composto da cellule, neuroni e molecole), che mette al centro la categoria della potenzialità, elemento cardine della nuova frontiera rappresentata dalla medicina personalizzata e predittiva. Il corto circuito che si instaura nella relazione tra medico, paziente e immagine del corpo è l’oggetto della ricerca di artisti come Liz Orton, che rimettono al centro dell’attenzione il corpo e le parole del paziente. All’immaginario legato alla visualizzazione dell’interno della mente è dedicato il saggio di Maria Micaela Coppola, che si concentra sulle metafore di chiarezza e oscurità della coscienza (Petrella 2010) nel linguaggio medico e nelle narrazioni letterarie della malattia mentale e propone il superamento della loro struttura dicotomica attraverso l’immagine della mente in chiaroscuro, che può essere esplorata in maniera particolarmente proficua dal campo di indagine interdisciplinare delle psychological humanities.
La trasparenza alimenta molteplici ed eterogenee figurazioni nell’immaginario letterario, che mette in atto un dialogo incessante tra trasparenza e opacità, visibilità e invisibilità, lucidità e oscurità, immaterialità e materialità. Nel poema incompiuto di John Keats The Fall of Hyperion, fuoco del saggio di Greta Colombani, il misterioso liquido trasparente che permette al poeta-narratore di accedere alla visione creatrice è metafora dell’immaginazione, concepita come ambivalente pharmakon che può condurre l’io lirico alla perfetta traduzione e condensazione della visione interiore nell’opera poetica ma che allo stesso tempo esercita un potere ammaliante e sinistro. L’ambivalenza radicata nel concetto di trasparenza è indagata dal saggio di Martina Misia, che individua nella dialettica tra chiarezza e oscurità una struttura profonda de I sommersi e i salvati di Primo Levi, un romanzo interessato a esplorare la “zona grigia” del lager. Se questo spazio è caratterizzato da ambiguità, corruzione e confusione, la scrittura lucida di Levi ne mostra anche la funzione di trasparenza: la zona grigia gli permette infatti di far luce sulla necessità, per un’umanità che possa dirsi ontologicamente tale, di andare oltre le facili dicotomie delle strutture del pensiero.
Alla disamina della critica nei confronti dello ‘svelamento’ e della categoria degli ‘uomini vetrati’ è dedicata l’opera dello scrittore e drammaturgo Botho Strauß, particolarmente nei saggi del volume Der Aufstand gegen die sekundäre Welt e nei frammenti di prosa e aforismi raccolti in Lichter des Toren, oggetto delle riflessioni del contributo di Davide Di Maio. Mettendo in relazione questi testi con l’attenzione e la risemantizzazione del concetto di trasparenza nel dibattito contemporaneo, il saggio esplora la propensione neoromantica di Strauß per la tessitura opaca del testo e per un atteggiamento di apertura e ricettività nei confronti del numinoso e dell’ineffabile. La poetica della trasparenza informa in maniera opposta e tuttavia interrelata anche l’approccio alla parola poetica di T. S. Eliot e Carol Ann Duffy, come illustra il saggio di Eleonora Ravizza. Se per Eliot la parola trasparente è un ideale legato all’essenza del sentire poetico, Duffy mira a demistificare l’apparente naturalità del linguaggio per metterne in luce l’opacità, attraverso un’operazione di straniamento che mette a nudo la presenza di cliché e stereotipi ed esibisce la natura mediale del linguaggio.
La trasparenza della scrittura è una qualità che diventa particolarmente pregnante nelle operazioni della traduzione e dell’adattamento, in cui il passaggio a una lingua o a una modalità testuale altra implica anche una riflessione sull’occultamento o all’opposto sull’esibizione dell’istanza di mediazione. Come dimostra il saggio di Simona Pollicino, il concetto di trasparenza si configura per Philippe Jaccottet come un ideale etico ed estetico tanto nell’opera poetica quanto nella pratica traduttiva. In dialogo costante con la dialettica visibile/invisibile e con i concetti di trasparente, traslucido e diafano, il poeta e traduttore sceglie la via della smaterializzazione e del decentramento, ponendosi come garante dell’autenticità della parola propria e dell’altro. Il desiderio di sollevare i veli della realtà per esibirne la natura e i meccanismi di funzionamento in maniera im-mediata è naturalmente al cuore della scrittura naturalista (Pellini 2004). Il saggio di Sally Filippini mostra il tentativo, da parte di Émile Zola, di applicare il metodo naturalista alla drammaturgia, traducendo in un adattamento teatrale il proprio romanzo Thérèse Raquin. Il controverso esito di questa operazione mette in luce la diversa trasparenza che attiene alla scrittura romanzesca e al testo teatrale, specie in relazione alla rappresentazione della complessità psicologica dei personaggi.
Chiude il numero il contributo di Michele Flaim, dedicato ai trasparenti teatrali e alla loro metaforica nelle scenografie realizzate da Jo Mielziner per i drammi di Tennessee Williams e Arthur Miller. Lungi dal limitarsi a svolgere una funzione esornativa nei confronti del dramma, i trasparenti entrano a far parte della struttura profonda del dramma: non solo perché, da un punto di vista tecnico, consentono veloci cambi di scena ma anche perché, particolarmente in The Glass Menagerie e A Streetcar Named Desire di Williams, essi si fanno espressione del vissuto interiore dei personaggi e interagiscono in maniera proficua (e talvolta straniante) con l’approccio recitativo del dramma.
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