La prigione di Eduard Limonov e il suo approdo metafisico

Autori

  • Sara Tongiani Università di Genova

Abstract

1. Eduard Limonov

La figura e le gesta di Eduard Veniaminovič Savenko, in arte Eduard Limonov, vengono consacrate al grande pubblico nel 2012, con l’uscita del libro di Emmanuel Carrère, Limonov (2012). Le mille vite romanzesche dell’ormai settantenne esponente dell’underground letterario russo sono state illuminate da una narrazione incalzante e precisa, attraverso la quale Carrère ha raccontato con severità l’uomo e il personaggio Limonov, svelandone difetti, manie di grandezza, generosità e follie. Gran parte dei luoghi, dei fatti e delle persone intrecciati insieme nel grande racconto di Carrère erano in realtà già presenti nei libri, nelle poesie, negli articoli e persino negli interventi sulla stampa internazionale e sul blog personale di Limonov. Del tutto simile al personaggio di un romanzo, Eduard Limonov ha curato ogni singolo aspetto della propria carriera ricorrendo all’auto-fiction, amalgamando storia personale e memoria collettiva, realtà e finzione, costruendo un complesso universo narrativo soltanto in apparenza spontaneo e immediato. Limonov ha vissuto mille vite e le ha raccontate tutte, sin nei minimi dettagli; Mauro Martini ha riconosciuto la valenza di tali racconti, affermando “ma nulla sono i dati meramente biografici dell’oggi più che sessantenne Limonov a fronte della loro rielaborazione letteraria, affidata a una lunga serie di libri che testimoniano del modo pagano con cui Edička reinventa la propria tumultuosa vita” (2005:132). Ed è proprio all’origine di quella tumultuosa vita il semplice anelito del giovane Limonov: diventare un eroe. Questo desiderio, l’indole ribelle e l’inesauribile curiosità conducono Limonov allo scontro con l’autorità e con il potere: prima nel paese dove trascorre la giovinezza, Char’kov, con il padre ufficiale della čeca e con le autorità locali, poi nel mondo, da emigrato, reietto o accolto, in America e in Francia, e infine ancora in Russia, dove la personale opposizione al nuovo regime convince Limonov a fondare il Partito Nazionalbolscevico.

Questa ostinata e imperterrita opposizione esistenziale al potere culmina ben presto negli arresti (il primo risale all’adolescenza, mentre l’ultimo è del gennaio 2013) e nell’esperienza della prigione. È ancora Carrère a svelarci l’universo personale di Limonov sentenziando: “Eduard lo ha sognato per tutta la vita. [...] Per un uomo che vede se stesso come l’eroe di un romanzo, la prigione è un capitolo imprescindibile, e sono sicuro che, lungi dall’essere afflitto, Eduard si è goduto ogni istante” (2012: 317).

Più volte, nel corso delle sue opere, Limonov aveva ammesso di aver amato le peregrinazioni del Conte di Montecristo e di subire ancora oggi il fascino dell’immagine romantica della prigione, trasformata in un luogo dell’altrove, che rimanda a qualcos’altro e che diviene un approdo metafisico, talvolta sacrale [Fig. 1 - Fig. 2]. Il meccanismo dell’auto-fiction rivela alcuni riferimenti precisi a movimenti letterari, a letture e sogni giovanili, mentre nella vita reale sono poi le celle di Lefortovo, Saratov ed Engel’s a diventare lo strumento attraverso il quale è possibile affinare le proprie abilità poietiche. Rinchiuso in quelle prigioni, Limonov scrive migliaia di pagine, arrivando infine a un’altra titanica convinzione: “È esattamente questa la vita che ho sempre voluto: caleidoscopica, arrischiata, sfavillante. Adesso la prigione e lo status da criminale, la dignità di criminale di Stato, mi hanno colato nel bronzo, reso un monumento. Chi oserà più mettere in dubbio la mia sincerità e tragicità?” (2004: 59). Lontano dal ruolo di sopravvissuto e testimone raccontato da Dostoevskij e da Solženicyn, Limonov rivendica la verità dell’esperienza della prigione, traslandola su di sé e sulla propria opera.

2. L’universo della prigione

Limonov ha vissuto mille vite: ragazzo ribelle, poeta, sarto, esponente dell’underground, scrittore emigré, maggiordomo, leader e organizzatore politico. L’impegno politico e la fondazione del Partito Nazionalbolscevico e della rivista Limonka (dal nome della granata che ispira lo pseudonimo Limonov) inaugurano per Limonov una stagione nuova, nella quale il mestiere di scrivere viene rigenerato da temi diversi. I racconti dell’autofiction traggono nuova linfa e le scorribande giovanili, l’affascinazione della malavita e il desiderio di compiere qualcosa di grande e importante sembrano materializzarsi, illuminati da una nuova luce. A partire dal 1992, Limonov e il suo gruppo raggiungono ogni focolaio di guerra in Europa e tentano addirittura di organizzare un campo di addestramento. Per lo scrittore, gli scenari di guerra svelano anche la natura e la realtà dei personaggi da raccontare e da traslare nel mondo della letteratura. Ma le scorribande di Limonov non sono soltanto un’avventura letteraria e nel 2000 culminano con l’arresto e l’accusa di traffico di armi. Malgrado i dubbi e le diverse ricostruzioni del processo, la magistratura condanna infine Limonov a quattro anni di reclusione, scontati prima a Lefortovo, poi a Saratov e infine nella colonia penale di Engel’s.

Dall’esperienza carceraria il personaggio Limonov viene rafforzato e, fra i molti libri che scrive durante il periodo della reclusione, due in particolare affrontano direttamente il tema e l’immagine della prigione: il Libro dell’acqua (Kniga Vody, 2002) e Il trionfo della metafisica. Memorie di uno scrittore in prigione (Toržestvo Metafiziki, 2005). Si tratta di due opere molto diverse fra loro, che rinnovano alcuni topoi della letteratura russa sulla condizione del carcerato e sul luogo della prigione. Ancora una volta, il protagonista di queste opere è il personaggio Limonov, quel soggetto fittizio che rielabora in chiave mitopoietica l’intera esistenza dell’autore. Rispetto agli esordi, al clamoroso Eto - ja Edička (Sono io Edička, 1976), e alla trilogia tolstoiana Podrostok Savenko (L’adolescente Savenko, 1983), Molodoj negodiaj (Un giovane farabutto, 1986), U nas byla velikaja epocha, (Abbiamo avuto una grande epoca, 1988), la centralità del soggetto dell’autofiction viene ridimensionata, mentre la narrazione si snoda attraverso la presentazione e lo sviluppo di immagini o temi. Malgrado l’ostentata contestazione, Limonov rimane sempre, anche quando tenta di demolire la memoria delle grandi e riconosciute personalità russe (si pensi alle sfuriate contro Brodskij), un uomo di lettere, formatosi sulla cultura russa. I versi che compone da ragazzo e che declama al cinema Pobeda, in occasione di un concorso letterario, riecheggiano quelli di Block e Esenin (Carrère 2012: 52-54), mentre il modello della sua insolita trilogia è Tolstoj.

Anche nelle due opere nate in prigione risuonano temi, personaggi e motivi della tradizione russa: il rapporto con il potere, la disciplina e la fedeltà etica di Puškin (si pensi al suo Pugačëv o a Boris Godunov), la voce cristallina e ribelle di Majakovskij, il viaggio nella Casa morta di Dostoevskij e la dolorosa testimonianza di Solženicyn. Questo e molto altro compone l’ipertesto di riferimento per le due opere di Limonov; si tratta di un ipertesto complesso, contro il quale l’autore si batte, svilendo, maltrattando o addirittura irridendo quei numi tutelari della letteratura mondiale. Limonov trascorre le proprie giornate nella cella della prigione o nella colonia penale proprio come i condannati della Casa morta o come l’Ivan Denisovič di Solženicyn, ma diversamente da questi personaggi, l’indisciplinato Edička realizza coscientemente in prigione se stesso e tutta la propria arte.

Fedele alla rappresentazione romantica della prigione, Limonov approfitta delle privazioni e della rigida gerarchia per compiere un ulteriore salto di verità, grazie al quale il meccanismo dell’autofiction viene progressivamente nobilitato.

L’io narrante del Libro e delle Memorie alterna sapientemente la violenza linguistica e di contenuto con delicati e commoventi ricordi della vita civile. L’etica opposizione al potere si alterna all’accondiscendenza, l’amore idilliaco e impalpabile al sesso gretto e violento. La prigione di Limonov raccoglie e riproduce tutte queste diverse visioni del mondo e della vita. Non potrebbe essere altrimenti: la prigione di Limonov diviene lo specchio di un mondo interiore ramingo e senza regole. Nella cella di Lefortovo e nel dormitorio di Engel’s convivono i racconti della mala russa e le canzoni popolari, il culto del regime e della guerra, il ricordo di Stalin e l’immagine di Putin, la distruzione di un intero universo letterario e la speranza di poterlo saldamente ricostruire e rinnovare. Questo eccesso di verità e vita si riflette sul solipsismo di Limonov, il quale si concentra sull’universo di uomini e storie che lo circondano. Ma i compagni di cella o di reparto non sono gli unici personaggi da studiare, osservare e raccontare: ci sono le guardie, i collaboratori, i capi, gli avvocati, i prefetti e il Padrone della colonia. Lo spazio della cella si dilata e quel gruppo eterogeneo di persone si organizza in piccole e grandi società in dialogo fra loro [Fig. 3]. I rapporti fra questi microcosmi sono regolati da una complicata serie di precetti e consuetudini, nati dall’esigenza di mantenere l’ordine. Soprattutto per quel che riguarda le modalità di comportamento nei riguardi delle autorità del carcere, le disposizioni e le accortezze sono rigide ma funzionali. Limonov comprende l’utilità di un atteggiamento conforme a tali suggerimenti. Eppure, dopo aver trascorso quasi due anni in prigione, prima a Lefortovo e poi Engel’s, quando viene convocato dal responsabile della colonia (il Padrone) per un importante colloquio che prelude alla libertà vigilata, si concede un piccolo personale divertimento, un gioco spavaldo basato su precise allusioni, nel quale esemplifica l’ordinamento della società creata in prigione.

«Come nel film 1984, tratto dall’omonimo romanzo di Orwell. L’ha visto?» gli ho chiesto. Ha scosso la testa. «Be’, lì c’è una società utopica del futuro... Il romanzo è stato scritto nel 1948. Tutti nel futuro sono vestiti in modo uguale. I proletari vanno in giro con le tute blu, i membri del partito con quelle nere. Come da noi in colonia...» Dopo aver detto queste cose, me ne sono pentito. Il Padrone, però, evidentemente non aveva visto il film e non aveva letto il romanzo di Orwell. Dal suo aspetto non si poteva infatti dire che si fosse offeso per il paragone fra la sua colonia e il crudele regime totalitario di 1984 (Limonov 2013: 175).

Siamo alla fine delle Memorie e Limonov esibisce un riferimento letterario e filmico preciso e universalmente conosciuto, descrivendo al Padrone della colonia penale gli elementi essenziali della celebre antiutopia di George Orwell. Ormai vicino alle pagine finali del diario, il lettore si imbatte in questa citazione del romanzo 1984, che propone un parallelismo chiaro e cristallino: il regime totalitario e soffocante immaginato da Orwell si avvicina molto alle dinamiche strutturali della colonia di Engel’s. L’organizzazione del tempo e dello spazio, la netta divisione fra carcerieri e prigionieri, la rigida gerarchia e la privazione della libertà di pensiero e parola accomunano la vita del campo di Saratov e quella della Londra futuristica immaginata da Orwell. Nel suo 1984 l’autore inglese sottolineava di continuo il controllo esercitato dal potere del Grande Fratello e del suo nuovo ordine sulla società e le modalità violente della sua realizzazione. L’immaginario legato alla reclusione e alla prigione diventava allora generale e diffuso, capace di inglobare ogni singolo aspetto della vita di quei personaggi.

La citazione di Limonov si riferisce chiaramente al rapporto fra carcerati e carcerieri, ma potrebbe nascondere anche un altro spunto. Nell’opera di Orwell i dissidenti venivano sistematicamente eliminati, cancellati, polverizzati. La violenta e ossessiva propaganda del Grande Fratello trasformava quelle esecuzioni in avvenimenti imperdibili, sacrali e significativi per l’intera società. Lo scrittore in carcere, Limonov, che ripensa al libro di Orwell, vive nella nuova Russia di Putin, dove le libertà di espressione e di informazione diminuiscono ogni giorno di più. Le modalità di controllo violento, però, non hanno mai spaventato lo scrittore nel corso della sua vita, e anche la misura massima di punizione (dopo l’esilio, anch’esso sperimentato), la prigione, non ha scalfito la sua identità: il potere non ha polverizzato Limonov, bensì gli ha conferito verità e grandezza.

L’immagine dell’autore imprigionato è diventata per Limonov una sorta di approdo conclusivo per la sua carriera. Lo scontro etico fra l’intellettuale e il potere continua, malgrado sia controllato, spesso arrestato e talvolta ancora rinchiuso in carcere. Limonov oggi rappresenta un nuovo modello di intellettuale che affronta lo scontro con il potere, soccombendo sovente, finendo in prigione, ma allo stesso tempo raccogliendo un vasto consenso e un generale apprezzamento. Ancora Martini ha riconosciuto l'importanza dell'esperienza carceraria per la carriera letteraria di Limonov: “Due anni in galera e un autore, in precedenza noto per gli happening trasgressivi del suo partito, ha travalicato l’angusto ambito della politica moscovita e dei professionisti della letteratura per diventare una voce controversa ma autorevole della narrativa russa” (2005: 150).

3. Libro dell’acqua

Nascono nella terribile fortezza del KGB, il carcere di Lefortovo, le "memorie dell’acqua" di Limonov. Quel posto carico di significato e storia consegna all’inquilino Limonov la responsabilità di accogliere e rielaborare le immagini, le storie e i volti dei tanti e famosi detenuti nella fortezza di Lefortovo. Ci si aspetterebbe allora un requiem, come quello del Libro dei morti, oppure un’aspra critica al tiranno, come il libello Contro Putin, e invece lo scrittore spalanca le porte della prigione e si immerge con il ricordo nelle acque della sua lunga e avventurosa vita. Dunque, l’occasione del Libro dell’acqua scaturisce direttamente dalla prigionia: da una condizione che dilata il tempo e scava nella memoria. Il ricordo delle acque, mari, fiumi e laghi, offre allo scrittore l’opportunità di riordinare alcuni fatti della propria vita e di ragionare su di essi. I viaggi, le avventure amorose e di guerra, le peregrinazioni e gli aneddoti della quotidianità di Limonov si intersecano spesso con la storia dell’Europa e del mondo. Nel ripensare a un viaggio fatto a Venezia, in compagnia di una donna, l’aristocratica Maggy, l’autore incarcerato non si sofferma soltanto su quell’esperienza, ma riflette su di sé e sulla storia:

Mentre correvamo all’Adriatico con Maggy attaccata alle braccia, come potevo immaginare che undici anni dopo avrei marciato per la riva opposta dell’Adriatico, con l’uniforme della Repubblica Serba di Kranja, il mitra a tracolla, la pistola nella cintura e una pattuglia dei miei fedeli amici serbi attorno? Ma sono stato bene su entrambe le sponde del tempo, nel 1982 e nel 1993. Solo, per ogni cosa c’è il suo tempo (2004: 48).

Il Libro dell’acqua diviene allora un viaggio attraverso il tempo e lo spazio, nel quale emergono l’irrequietezza e la versatilità di Limonov. Il soldato e l’amante si condensano in queste poche righe, nelle quali si illumina per un istante la partecipazione di Limonov alla guerra nei Balcani.

La narrazione fulminea e irriverente non indugia sui dettagli o sulle ricostruzioni: la voce narrante non spiega, ma segue il filo rosso del ricordo, intrecciando persone e avvenimenti sullo sfondo delle acque del mondo. Malgrado il leitmotiv dell’acqua, la memoria e la narrazione del fittizio Limonov si raccolgono intorno a due temi principali: la guerra e la donna. Si tratta di due aspetti costitutivi della vita di Limonov, quasi due forze sacrali, che allo scrittore in prigione appaiono ora solo quali labili ricordi. Eppure, è proprio a partire dalla dimensione reale e architettonica della prigione che riaffiora il flusso memoriale di donne, armi e guerre.

Le donne che affollano le pagine di Limonov sono molte, sono le donne che lo hanno amato per tutta la vita o per brevi periodi: le mogli Anna e Nataša o le fidanzate occasionali Maggy e Betsy. Il ricordo di Betsy, americana di origine svedese e slavista di professione, racchiude anche il ruolo della condizione della prigionia esercitato sulla voce narrante:

Betty aveva grandi tette svedesi. Ci piacevamo e, adesso, rinchiuso qui nella fortezza di Lefortovo, mi rammarico di non aver sposato Betsy: ora avremmo quattro o forse sei alti ragazzoni dalla pelle bianca. E forse non sarei finito in prigione con l’accusa di acquisto di armi e partecipazione a banda armata. Pubblicherei, scriverei libri su uomini come Limonov in inglese (2004: 57).

Limonov è tutto qui: la donna da amare e possedere, l’immagine della guerra e l’arte che si fa vita. Soltanto perché è rinchiuso in una cella lo scrittore riflette sulla possibilità di essere altro: un marito fedele e un intellettuale accademico. Ma la finzione non inganna il lettore, nemmeno quando il fittizio Limonov ammette: “Ho scelto il destino sbagliato” (2004: 60).

Mentre le mutevoli apparizioni dell’acqua e del mondo che le contiene sono dettagliate e precise, lo spazio della fortezza di Lefortovo è invece dato per assenza: mancano le descrizioni e i dettagli della cella, del refettorio e di qualunque altro luogo della prigione. Di quella fortezza, soltanto per una volta viene rievocata la valenza storica e simbolica, quando il solipsismo di Limonov cede allo spazio che lo circonda:

Oggi nella cella dove sto scrivendo ho trovato una lampada da tavolo. E’ un toccante cimelio di spie d’altri tempi, e’ verde e di rame. Il pulsante rosso. [...] sotto questo portento che risalirà, io credo, agli anni Trenta, hanno forse firmato le loro spontanee confessioni Bljucher e Tuchačevskij (2004: 74).

Il ricordo delle purghe degli anni Trenta si sovrappone all’immagine dello scrittore di oggi, Limonov, rinchiuso in prigione, costretto a chiedere una lampada per continuare a scrivere le proprie memorie [Fig. 4 e Fig. 5]. Il ruolo di testimone viene radicalmente trasformato da Limonov: dal carcere è possibile continuare a opporsi eticamente al potere, senza ricorrere alla drammatizzazione della propria esperienza. Secondo questa ottica vengono ammoniti anche i colleghi intellettuali, colpevoli, secondo l’autore, di non comprendere la forza rigeneratrice di nuove estetiche.

Rispetto al successivo diario, nel libro dell’acqua viene costruito un universo magmatico di persone e personaggi lontani e diversi fra loro: una serie di personae che accompagnano e rispecchiano le mille vite passate di Limonov. Si tratta principalmente di donne, militari, vecchi e nuovi amici. Soprattutto l’immagine della guerra conferisce uno spessore diverso ai personaggi, dei quali, secondo lo scrittore, è possibile cogliere l’essenza profonda. L’ultima particolarità del Libro è la dedica, sfrontata e accorata allo “scricciolo”, la giovane fidanzata Nastja. Carrère si è lungamente soffermato sulla ricostruzione della storia d’amore fra il sessantenne Limonov e l’adolescente Nastja. Quello che importa qui sottolineare è l'ennesimo intreccio fra realtà e finzione, veicolato ancora una volta dalla condizione della prigionia. Nastja è una giovane ribelle punk , quasi maggiorenne, innamorata del ruggente leader Limonov e fanatica ammiratrice di Marilyn Manson. Sulla pagina di Limonov, dal carcere di Lefortovo, l’intrepida e anticonvenzionale Nastja diventa una paziente e fedele Penelope, una giovane donna disposta ad aspettare il suo amato. La prigione, la cella spoglia, le privazioni e le regole non intaccano l’immagine di questa candida ninfetta nabokoviana:

Nastja, [...] è uno scricciolo perché l’ultima volta che l’ho misurata non superava i 157 centimetri d’altezza. Quando io ero già in prigione ha compiuto i diciannove anni. [...] naturalmente non è mia figlia, sebbene l’abbia chiamata bambina. E’ la mia ragazza. Tra noi ci sono trentanove anni di differenza. La più giovane Penelope della letteratura russa (2004: 144-145).

4. Il trionfo della metafisica. Memorie di uno scrittore in carcere

A differenza della riflessione costante sul tema dell’acqua e sull’organizzazione stessa del flusso memoriale intorno a motivi precisi, ne Il trionfo della Metafisica la scrittura dal carcere, dalla colonia penale di Engel’s, segue un andamento diaristico, che introduce il lettore in un racconto in presa diretta. L’immagine della colonia penale si ricongiunge immediatamente alle opere che appartengono alla letteratura concentrazionaria - lagernaja literatura: un genere particolare, non esclusivo della letteratura russa, nel quale il reportage e il racconto memoralistico si misurano con la sconfinata brutalità dell’uomo, perdendosi talvolta nell’oscura certezza della banalità del male. Anche in questo caso, le allusioni, le assonanze di immagini e personaggi sono accuratamente studiate e costruite dal fittizio Limonov, il quale, entrando nel meccanismo della vita del campo ripete, annulla o dissacra i gesti, i pensieri e le emozioni dei personaggi di Dostoevskij, Solženicyn e Šalamov.

Rispetto ad altre opere, nelle Memorie Limonov si concentra sui personaggi che lo circondano, soffermandosi sui compagni detenuti e raccontando la loro comune situazione. A differenza del Libro, dove mancava la realtà fisica di Lefortovo, qui Limonov conduce il lettore lungo il viale principale (la Via Dolorosa) che attraversa il campo, per accompagnarlo nei luoghi dei detenuti, fra le brande, nei bagni e nel piccolo cucinino. Malgrado manchi una sorta di mappa dettagliata, i luoghi diventano immediatamente familiari al lettore che, dopo aver appreso la quotidianità dei detenuti, intuisce e presagisce anche i loro movimenti all’interno del campo. La descrizione del luogo, l’attenzione alla dimensione reale della prigione, gli orari e le attività dei detenuti costituiscono il nuovo universo di Limonov, nel quale egli vive come un uomo qualunque [Fig. 6 e Fig. 7]. Ma l’autore incarcerato non è un uomo qualunque e la sua fama e le sue abilità letterarie diventano, forse per la prima volta, uno strumento efficace di informazione. Sono molti infatti i compagni che lo incoraggiano a raccontare la vita dei detenuti: “Eduard, prima o poi scrivi che razza di schifo c’è qui. Nazisti del cazzo!” (2013: 60). Il riferimento alla violenza nazista ritorna ancora nelle parole dello stesso Limonov, il quale, descrivendo l’arrivo ad Engel’s, stabilisce la netta opposizione fra carcerati e carcerieri: “Ci hanno portato alle docce. [...] Noi nudi, accovacciati, loro vestiti, sulle sedie. Umiliante come ad Auschwitz. ‘Non si può’, ‘non è permesso’, smozzicavano appena gli ufficiali, scambiandosi battutine su di noi” (2013: 26). In parte collegato al rapporto fra i detenuti e le autorità è la percezione della pena. Foucault, nel suo Sorvegliare e punire, ha dedicato molte pagine alla necessità che la pena corrisponda al delitto commesso (2010: 79-144). Le Memorie di Limonov alludono a quelle di Dostoevskij, ma a differenza della discesa nelle tenebre della Casa morta, nella quale i detenuti riconoscevano la giustezza delle loro condanne, nel diario da Engel’s i prigionieri vivono l’ingiustizia e la ferocia di un sistema carcerario molto simile a quello dei terribili anni Trenta. Lo stesso Limonov non perde occasione per scagliarsi contro i soprusi perpetrati dal potere fuori e dentro il carcere [Fig. 8]: “In Russia il potere mente in modo spudorato e con disinvoltura. In realtà siamo un paese orrendo. Uno Stato bigotto e una Chiesa asservita da far vomitare ci sono valsi il nomignolo di ‘Santa Rus’. Sarebbe più azzeccato quello di ‘Satanica Rus’” (2013: 36). A poco valgono, per il detenuto comune, il calore del sole, la bellezza delle rose che sbocciano lungo la Via Dolorosa o il tè condiviso con gli amici. Per l’autore incarcerato, invece, queste immagini contribuiscono al raggiungimento di una dimensione metafisica, personale e unica. Non è soltanto la natura a partecipare a questa sorta di addestramento spirituale: per Limonov ogni singolo momento della giornata nel campo diviene occasione di raccoglimento e riflessione. La prigione di Engel’s diventa allora una sorta di monastero, nel quale i tre appelli giornalieri scandiscono la preghiera, il lavoro veicola la meditazione e le vessazioni dei carcerieri allenano lo spirito. Sulla falsariga della lode che apre il primo capitolo del quarto libro di Arcipelago Gulag di Solženicyn, “Benedetta sii tu, prigione!”, l' "asceta" Limonov afferma:

Dentro mi sentivo stranamente indifferente al mio destino. E sapevo che in futuro mi sarei sempre sentito così. Mi avevano tormentato per più di due anni, non mi avevano fatto crollare, ma erano riusciti a portarmi al di là del bene e del male. Altri ventun mesi di digiuno, di preghiere in piedi tre volte al giorno, di cibo senza grassi, di mortificazione della carne: mi sta bene, lo voglio (2013: 220).

Limonov conquista il suo personale approdo metafisico non soltanto in virtù di quella "benedetta" prigione che lo trattiene, bensì con l’aiuto di un’altra ninfetta nabokoviana, una demone-bambina, un puzzle appeso al muro, un quadro lasciato ad Engel’s da un detenuto sconosciuto. Limonov incontra quel demone e trascorre insieme a lei alcune ore durante le pulizie mattutine nel centro del PVO (Sezione di rieducazione politica):

Da ogni punto lei mi seguiva con uno sguardo bollente e soffocante di carne vietata dalla legge. [...] giorno dopo giorno, mi sono abituato a contemplare la sua misteriosità finché il Demone ha cominciato a eccitarmi e turbarmi. [...] era come se avessi iniziato a vivere con questa bambina-Demone e l’avessi presa come concubina. [...] E’ venuto fuori che era possibile vivere con il ritratto di una cupa minorenne come una persona viva (2013: 102).

Simile alle fotografie e alle illustrazioni dell’Alice di Lewis Carroll, questa ninfetta diviene la donna delle Memorie, unico personaggio femminile che vive nella prigione e che concede a Limonov attimi estatici.

L’uscita dal carcere coincide con l’epilogo delle Memorie, che non rende però giustizia al personaggio Limonov, il quale torna in libertà seguito dalle telecamere, ridotto quasi all’immagine stereotipata del concorrente di un reality show. E questa è un’altra, ennesima, particolarità di Eduard Limonov, quella di essere ovunque: su televisioni internazionali, sulla stampa mondiale, su YouTubeTwitter e su un numero infinito di blog. Il sogno del bambino si è finalmente avverato e le vicissitudini del ragazzo che sognava di diventare un eroe sono racconti consegnati e consacrati alla letteratura.

Bibliografia

Carrère E. (2010), Limonov, trad. it. a cura di Francesco Bergamasco, Adelphi, Milano.

Carroll L. (2012), Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, Attraverso lo specchio, a cura di Pietro Citati, Mondadori, Milano.

Dostoevskij F. (2004), Memorie di una casa morta, trad. it. a cura di Alfredo Poliedro, Bur, Milano.

Foucault M. (2010), Sorvegliare e punire, trad. it. a cura di Mauro Bertani, Alessandro Fontana, Pasquale Pasquino, Giovanna Procacci, Mondadori, Milano.

Limonov E. (2001), Kniga Mertvych (Il libro dei morti), Limbus, Sankt-Peterburg.

Limonov E. (2004), Libro dell’acqua, trad. it. a cura di Mario Caramitti, Alet, Padova.

Limonov E. (2013), Il trionfo della metafisica. Memorie di uno scrittore in carcere, trad. it. a cura di Giulia de Florio, Elena Freda Piredda, Salani, Milano.

Martini M. (2005), L’utopia spodestata, Einaudi, Torino.

Orwell G. (2013), 1984, trad. it. a cura di Stefano Manferlotti, Mondadori, Milano.

Puškin A. (2007), Boris Godun, a cura di Strada Janovic, Marsilio, Venezia.

Puškin A. (2011), La figlia del capitano e Storia di Pugačëv, trad. it. a cura di Mauro Martini, Newton, Roma.

Solženicyn A. (1974), Arcipelago Gulag, trad. it. a cura di Maria Olsùfieva, Mondadori, Milano.

Solženicyn A. (2006), Una giornata di Ivan DenisovičLa casa di matronaAlla stazione, trad. it. di Raffaello Uboldi, Vittorio Strada, Clara Coïsson, Einaudi, Torino.

Biografia autore

Sara Tongiani, Università di Genova

Sara Tongiani (PhD in Digital Humanities, Università di Genova; PhD in Letterature Comparate, Università di Torino) è cultrice della materia Storia e critica del cinema e professore a contratto presso l’Università di Genova. I suoi principali interessi di ricerca si concentrano sulla cultura visuale, il cinema e le loro relazioni con la letteratura. Ha partecipato come relatrice a convegni internazionali ed è autrice di articoli e saggi apparsi su Elephant&CastleLa Valle dell’EdenCinergieL’AvventuraTicontre Between. Attualmente la sua tesi di dottorato, dedicata all’orizzonte mediale della metamorfosi, è in corso di pubblicazione.

Pubblicato

15-12-2013

Come citare

Tongiani, S. (2013). La prigione di Eduard Limonov e il suo approdo metafisico. Elephant & Castle, (9). Recuperato da https://elephantandcastle.unibg.it/index.php/eac/article/view/411

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