Riprendere Medea. Soccombenza e rivolta femminili nel cinema di Lars von Trier
Abstract
La figura di Lars von Trier è certo una delle più rilevanti nel panorama cinematografico contemporaneo, caratterizzata da uno stile che si è dimostrato negli anni mutevole fino alla spudorata incoerenza, a suo agio nel tradurre un'indole registica in cui convivono diverse idee di cinema – talvolta contraddittorie – che vengono puntualmente affermate e repentinamente smentite. Tuttavia, nell'opera del regista, è comunque possibile rintracciare almeno una costante: l'eroe, o quel che ne resta, è sempre una presenza femminile. Sin dagli esordi, quando von Trier, su richiesta della televisione danese, reinterpreta uno dei ritratti di donna più intensi e controversi della tradizione occidentale (Medea), passando per le protagoniste delle tre trilogie che compongono buona parte della filmografia vontrieriana (quelle del Cuore d'oro, dell'America e della depressione), la predilezione del regista è infatti riservata alla costruzione di personaggi femminili dalle parabole estreme e disturbanti, votate alla sofferenza e al martirio, quando non alla morte sacrificale. Muovendo da questa presa d'atto e dai debiti che il regista sconta nei confronti della rappresentazione femminile approntata nel cinema di Carl Theodor Dreyer, il contributo propone una lettura del corpus vontrieriano che, da una parte, punta a interpretare l'insistita presenza della donna alla luce di una tensione aperta tra una vulnerabilità eterodiretta e una resilienza declinata nell'orizzonte della rivolta, mentre, dall'altra, suggerisce di valutare i personaggi femminili (ben più di quelli maschili) come i veri corrispettivi di von Trier, dimostrando come la loro disamina si imponga come una chiave d'accesso privilegiata per accedere tanto alla sua opera artistica, quanto alla sua tormentata sensibilità.