Sperare nelle rovine
Résumé
L’articolo è una riflessione sul valore dell’esperienza delle rovine. Per “attivare” quest’esperienza, non basta trovarsi davanti a qualcosa di danneggiato: la rovina deve presentarsi come mutila (rimandando a qualcosa di perduto) e vulnerabile (mostrando come ciò che resta potrebbe trasformarsi o scomparire da un momento all’altro). La filosofa spagnola Maria Zambrano, nel suo articolo sulle rovine, parte da questa dialettica tra assenza e presenza: ciò che è assente è l’essenziale, ma ciò che è presente è necessario come rimando all’assente. Richiamando la teoria della rappresentazione di Louis Marin potremmo quindi dire che la rovina è una rappresentazione, fortemente riflessiva, della propria distruzione. Dalle rovine impariamo che ogni edificazione, che sia una costruzione architettonica o storica, o una qualsiasi realizzazione di un sogno, finirà per essere distrutta. Lungi dall’essere un monito terribile, questo carattere della rovina la rende secondo Zambrano “una metafora della speranza”. Questo perché, “ogni realizzazione è una frustrazione” e quindi la sua messa in crisi è la riapertura di nuove possibilità. Come affermano in modo diverso Simmel e Benjamin le edificazioni sono delle imposizioni (dello spirito sulla natura, o dei produttori sulla società): ogni edificazione che si pretende definitiva chiude le porte a tutte le altre realizzazioni possibili. La precarietà delle rovine ci insegna invece ad avere uno sguardo critico e a mantenere aperta la possibilità. Non si tratta di una speranza rassicurante, ma di una speranza che mette in moto. L’esperienza delle rovine — preziosa perché educa alla critica e al pensare alternative — è oggi in pericolo, forse perché la loro instabilità ci è intollerabile. A noi spetta mettere in salvo questa esperienza, cercando, anche attraverso l’arte, d’aiutare le rovine a resistere nella loro vulnerabilità.