Il corpo della vulnerabilità
Abstract
Il seguente saggio intende ripercorrere i significati assunti dalla vulnerabilità ancorata al corpo del performer dagli anni '70 ad oggi. L'analisi si restringe al campo delle arti più propriamente performative (Teatro, Danza, Performance), individuando l'arco cronologico proposto come il più rappresentativo per la problematica posta in rilievo. A partire dalla revisione estetica e culturale avviata negli anni '70 infatti, la carne dell'attore/danzatore è divenuta dispositivo di innumerevoli discorsi tanto da far scivolare il piano d'attenzione dal personaggio alla persona che lo interpreta. Di pari passo la vulnerabilità stessa sembra essere passata da un regime di rappresentazione mimetica ad un regime di presentazione sintomatica. L'analisi parte infatti dall'ipotesi che lo spostamento del focus dal ruolo alla persona inscriva anche i significati prodotti dal corpo, colto non più come traduttore di vulnerabilità psicologiche del personaggio, ma nella sua superfice, dove gravita il suo retaggio culturale e la materialità della sua vulnerabilità. Il corpo al centro della scena diviene attestazione di presenza, entità culturale, conduttore di senso, diventa esso stesso testo. Oggi, a prendere voce sul palcoscenico è l'esperienza diretta di performer disabili, i quali mettono in atto strategie politiche completamente differenti rispetto a quelle degli anni '70. Sembrerebbe infatti che i performer traducano la propria malattia seguendo diverse traiettorie, in alcuni casi infatti la disabilità si traduce sotto forma di resilienza, di resistenza ad un corpo fragile, in altri funge da canale di avvicinamento con lo spettatore. L'obbiettivo ultimo del saggio è quello di comprendere dove queste traiettorie conducano.