Du Nigeria à l'emprisonnement : le traumatisme de Little Bee chez Chris Cleave
Résumé
PremessaChris Cleave, autore britannico contemporaneo molto noto per la diffusione a livello internazionale dei suoi romanzi, sorprendentemente poco indagati sul piano della critica letteraria accademica, si occupa di tematiche che hanno una ovvia relazione con la storia recente e che spaziano dal terrorismo alla tortura, dalla prigionia alla violenza nel continente africano, dalla resistenza fisica e psicologica alla malattia in età pediatrica. L’autore, nato a Londra nel 1973, laureato in Psicologia ad Oxford, scrittore ed editorialista per “The Guardian” e “The Telegraph”, è divenuto celebre grazie a Incendiary che nel 2005 è diventato in pochi mesi un successo di fama mondiale, tradotto e pubblicato in 20 paesi, aggiudicandosi, tra gli altri premi, il Somerset Maugham Award, ed è diventato un film con Michelle Williams ed Ewan McGregor. E’ uscito lo scorso luglio, in occasione dei Giochi Olimpici a Londra, il suo ultimo romanzo, Gold. The Other Hand, case-study di cui mi occuperò in questo breve saggio sul tema delle prigioni, è invece il secondo romanzo di Cleave, uscito tre anni dopo il grande successo di Incendiary, e anch’esso parzialmente basato su di una storia realmente accaduta. The Other Hand è il titolo scelto dall'autore per l'edizione inglese, irlandese, australiana e indiana, mentre in America e Canada lo stesso romanzo viene pubblicato con il titolo Little Bee. The Other Hand è più che mai la storia di un trauma, dell’immigrazione, della prigionia e della sopravvivenza della sua protagonista, la giovane immigrata nigeriana Little Bee. Gli eventi prendono le mosse dalle storie di altri rifugiati, in un viaggio nel tempo e nello spazio che conduce dalla Gran Bretagna degli anni '80, in cui l'autore era adolescente, fino agli eroi delle generazioni precedenti, come Sigmund Freud, Anne Frank, Albert Einstein, Karl Marx, Joseph Conrad. La storia di The Other Hand si lega a doppio filo con quella della Gran Bretagna vissuta da Cleave stesso: l'autore, infatti, considera il proprio mestiere di giornalista e di scrittore di romanzi come una vera e propria missione che permette di informare le persone in modo piacevole. L'immagine dei centri di detenzione offerta da Cleave in The Other Hand mette in luce il tema della prigionia, del trauma e dell’immigrazione basandosi su fatti reali e prendendo le mosse da una descrizione talmente accurata e fedele alla realtà da riuscire ad informare sia il pubblico che le istituzioni. Come già in Incendiary, anche nel caso di The Other Hand, l'autore sceglie un punto di vista femminile per narrare gli eventi dove il tema del trauma viene messo in gioco dalla voce narrante attraverso una strategia letteraria che procede a doppio binario per narrare ciò che è già avvenuto e ciò che ancora è in corso, per dare voce alle due protagoniste, la nigeriana Little Bee e l’inglese Sarah. Il punto di vista femminile, attraverso uno stile conciso, immediato, diretto, sembra essere realmente il più adatto a descrivere la ferocia delle torture e lo squallore del centro di detenzione. La disperazione della giovanissima prigioniera, costretta a reprimere la propria femminilità per evitare gli sguardi maschili, si contrappone in modo deciso ai ricordi dell'infanzia trascorsa in Africa che nella memoria di bambina, nonostante la povertà e le condizioni disagevoli, sembra ancora essere un Paradiso perduto. In netta contrapposizione all'Africa, selvaggia e per questo meravigliosa, si staglia la descrizione del panorama inglese. Il trauma vissuto, dentro il centro di detenzione, corre in parallelo con la narrazione minuziosa e puntuale di una Londra buia, angosciosa, inquietante che sembra rispecchiare i tratti della quotidianità vissuta all’interno della prigione. L'approccio alla narrativa è fortemente coinvolgente in Chris Cleave, in particolare nella scelta di inserire un personaggio eccezionale, la giovanissima immigrata africana Little Bee, in un contesto assolutamente realistico e ordinario, quello della Londra postmoderna. Cleave appare indubbiamente come un autore paradigmatico per lo studio della letteratura del trauma nel contesto contemporaneo: la sua scrittura risulta particolarmente attenta nel sondare come il soggetto postmoderno si rapporti al trauma e ai suoi paradossi, sospeso in una tensione esistenziale acuta, spesso alleviata solo da uno humour tagliente.
Le prigioni di Little BeeTre anni dopo il grande successo di Incendiary, Cleave pubblica un nuovo romanzo intitolato The Other Hand. Anche nel caso del romanzo edito nel 2008, l'autore offre ai propri lettori un resoconto dettagliato su come è nata l'idea di scrivere il libro, in particolar modo grazie alle domande tratte dall'intervista fatta dall'amico e collega Daniel Goldin. The Other Hand, come fu anche per Incendiary, non si basa su di una storia realmente accaduta; tuttavia, come spiega l'autore stesso in un'intervista:
c'è una storia vera che in modo particolare mi ha portato a scrivere questo romanzo. Nel 2001 un uomo proveniente dall’Angola, chiamato Manuel Bravo, arrivò in Gran Bretagna chiedendo asilo dal momento che lui stesso e la sua famiglia sarebbero stati perseguitati e uccisi qualora avessero fatto ritorno nel paese d’origine. Visse uno stato d’incertezza assoluta per 4 anni in attesa che venisse presa una decisione. Poi, senza alcun preavviso, nel settembre 2005 Manuel Bravo e suo figlio tredicenne vennero trasferiti in un centro di detenzione per gli immigrati nell’Inghilterra del sud. Venne detto loro che sarebbero stati deportati forzatamente in Angola la mattina seguente. Quella notte, Manuel Bravo si suicidò impiccandosi al vano scala. Il figlio venne svegliato in cella dove gli fu data la notizia. Ciò che accadde fu che Manuel Bravo, consapevole del fatto che i minori non accompagnati non possono essere deportati dall’Inghilterra, si tolse la vita per salvare quella di suo figlio. Tra le ultime parole lasciate al suo bambino scrisse: “Sii coraggioso. Lavora duro. Studia sodo a scuola”.[1]
The Other Hand è il titolo scelto dall'autore per l'edizione inglese, irlandese, australiana e indiana, mentre in America e Canada lo stesso romanzo viene pubblicato con il titolo Little Bee. Cleave ne spiega le ragioni in modo esaustivo:
E’ abbastanza comune che i romanzi cambino titolo quando attraversano l’Atlantico. Amo entrambi i titoli sotto i quali il romanzo e’ stato pubblicato. “Ther Other Hand” è un buon titolo perché rivela la natura dicotomica del romanzo, con i suoi due narratori e i suoi due mondi, facendo anche riferimento alla ferita di Sarah. “Little Bee” è ugualmente un buon titolo perché il romanzo è davvero la storia di Little Bee, dunque è un titolo adatto e diretto. Mi piace anche perché risulta chiaro e immediato – e il mio obiettivo con questo romanzo era quello di scrivere una storia accessibile pur trattando un tema importante. Amo l’idea che il romanzo abbia due titoli. Mi piace quando scelte divergenti risultano giuste allo stesso tempo. [2]
In Cleave, come ricordato in questa intervista, l'idea di scrivere questo romanzo nasce da un incontro del tutto casuale, avvenuto addirittura 15 anni prima della stesura del libro:
Sì, ci fu un incontro casuale che mi colpì molto. Circa quindici anni fa stavo lavorando presso un campus universitario estivo e per tre giorni lavorai a Campsfield House nello Yorkshire. È un centro di detenzione per coloro che cercano asilo – una prigione, se vogliamo, piena di gente che non ha commesso un crimine. Avevo vissuto per tre anni a dieci miglia da quel posto e non ne conoscevo neppure l’esistenza. Le condizioni di quel luogo erano angoscianti. Parlai con i rifugiati che avevano vissuto l’inferno e che probabilmente sarebbero ritornati all’inferno. Alcuni di loro erano persone straordinarie e fu sconvolgente vedere come li stavamo trattando. Quando si imprigiona un innocente, lo si conduce alla malattia, e quando lo si deporta, spesso si tratta di una condanna a morte. Sapevo che dovevo scriverne perché è un segreto lurido. E sapevo che dovevo mostrare l’inaspettato humour di questi rifugiati, per quanto potessi, e rendere il mio romanzo una lettura piacevole e convincente, altrimenti la gente non se ne sarebbe mai interessata. [3]
The Other Hand è più che mai la storia di un trauma e della sopravvivenza della sua protagonista, Little Bee. Gli eventi prendono le mosse dalle storie di altri rifugiati, in un viaggio nel tempo e nello spazio che conduce dalla Gran Bretagna degli anni '80, in cui l'autore era adolescente, fino agli eroi delle generazioni precedenti, come Sigmund Freud, Anne Frank, Albert Einstein, Karl Marx, Joseph Conrad:
Credo che Little Bee potesse fare qualsiasi cosa perché per definizione è una sopravvissuta. Quando ero un adolescente, negli anni ’80, pensavamo ai rifugiati come a degli eroi. Le centinaia che cercarono di attraversare il muro di Berlino, ad esempio. O i piloti, esecutori e scienziati dell’Unione Sovietica. O gli eroi delle precedenti generazioni – Sigmund Freud che giunse a Londra per fuggire dai nazisti, o Anne Frank che non potè fuggire abbastanza lontano. Albert Einstein, Karl Marx, Joseph Conrad - tutti rifugiati – e potrei andare avanti ancora [4].
La storia di The Other Hand si lega a doppio filo con quella della Gran Bretagna vissuta da Cleave stesso: l'autore, infatti, considera il proprio mestiere di giornalista e di scrittore di romanzi come una vera e propria missione che permette di informare le persone in modo, se possibile, piacevole. Inoltre, grazie al mestiere di romanziere, Cleave è consapevole di poter aggiungere quel pizzico di umanità che generalmente fatica a trovare spazio attraverso i tradizionali canali dei media. Tuttavia, è proprio con una citazione tratta da Life in The United Kingdom che l'autore apre il romanzo:
La citazione è “la Gran Bretagna è orgogliosa della propria tradizione di fornire un rifugio sicuro alle persone che fuggono da conflitti e persecuzioni”. L’ho tratta da Life in the United Kingdom che è il libro fornito agli immigranti per prepararsi al test di cittadinanza in Gran Bretagna. Si occupa di storia inglese, governo e comportamento. Esso offre l’eccellente consiglio: “Se rovesci per sbaglio il drink di uno straniero, è buona norma ( e prudente) offrirsi di comprarne un altro”. La mia idea è che un rifugiato sia preparato ad allontanarsi da un regime che l’ha imprigionato e torturato, arrivare in Inghilterra, chiedere asilo e conformarsi ai contenuti di questo libro che noi rendiamo obbligatorio. [5]
Il dolore, il male e le difficoltà vissute in questi luoghi di detenzione per bambini vengono descritti in modo esaustivo nel report 2008 del “UK Chief Inspector of Prisons”. L'immagine dei centri di detenzione, offerta da Cleave in The Other Hand, mette in luce il tema del trauma basandosi su fatti reali e prendendo le mosse da una descrizione talmente accurata e fedele alla realtà da essere mezzo d’informazione per il pubblico e per le istituzioni:
La Gran Bretagna è ancora uno dei posti migliori al mondo dove poter praticare l’arte della retorica. C’è qualcosa di davvero grandioso in Gran Bretagna, ed è il diritto civile che noi difendiamo attraverso regolare pratica. Non abbiamo una costituzione o una carta dei diritti, quindi occorre mettere in pratica il diritto stesso nell’ambito delle nostre vite fino a quando non diventa istintivo in tutte le persone libere. In secondo luogo credo che la mia descrizione del centro di detenzione immigrati inglese sia accurato negli aspetti più salienti. E’ basato sulla ricerca… Il trattamento di coloro che cercano asilo porta vergogna e ignominia alla nazione. Non ho inventato nulla sul loro trattamento. E sto cercando di prestarvi molta attenzione. [6]
Anche nel caso di The Other Hand l'autore sceglie un punto di vista femminile per narrare gli eventi: “Non sono mai stata una di quelle donne felici che credono che i temporali nascano dai cieli azzurri. Per me ci furono innumerevoli previsioni, innumerevoli rotture all’interno della normalità” [7]. Il tema del trauma viene messo in gioco dalla voce narrante attraverso una strategia letteraria che, come spiega Cleave stesso in un'altra intervista, procede a doppio binario per narrare ciò che è già avvenuto e ciò che ancora è in corso, per dare voce a Little Bee e a Sarah:
Dopo quasi due anni di lavoro a questo progetto decisi che la prospettiva migliore fosse quella della dualità. Questa è la storia di due mondi: lo sviluppato e quello in via di sviluppo, e quella della reciproca incomprensione che spesso caratterizza gli opposti. Di conseguenza nel ritrarre ogni donna dal punto di vista dell’altro, e nell’investire ognuna della volontà di capire l’altra, sono stato capace di fare in modo che la storia si dipanasse da sola nella mente del lettore. E’ stato per me un profondo passo in avanti. Nessuno mai dovrebbe sottovalutare il ruolo del lettore all’interno del romanzo. Io volevo scrivere una storia che non fosse mai totalmente esplicita, che potesse basarsi sull’interpretazione dei dialoghi dei personaggi da parte del lettore. Quando si riesce a credere nel lettore, allora scrivere è davvero un’esperienza meravigliosa.[8]
Il punto di vista femminile, attraverso uno stile conciso, immediato, diretto, sembra essere realmente il più adatto a descrivere la ferocia delle torture e lo squallore del centro di detenzione:
Ma poi mi ricordai… Due anni, io vissi due anni in quel centro di detenzione. Ero una quattordicenne quando giunsi nel vostro paese ma non avevo alcuna carta che lo provasse e così venni portata nello stesso centro di detenzione degli adulti. Il problema era che c’erano uomini e donne rinchiusi nello stesso centro in quanto adulti… Li imprigionavano come lupi quando il sole tramontava… Pensavo che mi guardassero con occhi vogliosi… Mi resi del tutto indesiderabile. Smisi di lavarmi e feci in modo che la pelle diventasse oleosa. Sotto gli abiti misi una grossa fascia di cotone intorno al petto così che i seni sembrassero piccoli e sgonfi.[9]
La disperazione della giovanissima prigioniera, costretta a reprimere la propria femminilità per evitare gli sguardi maschili, si contrappone in modo deciso ai ricordi dell'infanzia trascorsa in Africa che nella memoria di bambina, nonostante la povertà e le condizioni disagevoli, sembra ancora essere un Paradiso perduto (Fig.1, Fig.2, Fig.3, Fig.4):
Tutto era gioia e canto quando ero piccola. C’era tanto tempo per questo. Non c’era fretta. Non avevano elettricità, né acqua corrente, poiché non c’erano ancora collegamenti con il nostro villaggio.[10]
In netta contrapposizione all'Africa, selvaggia e per questo meravigliosa, si staglia la descrizione del panorama inglese:
Ricordo il giorno esatto in cui mi sentii tutt’uno con l’Inghilterra, quando i suoi contorni presero forma sulle curve del mio corpo, quando le sue inclinazioni divennero le mie… Ebbi la sensazione di essere tra due mondi… [11].
Il trauma vissuto, dentro il centro di detenzione, corre in parallelo con la narrazione minuziosa e puntuale di una Londra buia, angosciosa, inquietante, ma che tuttavia non suscita dolore nella giovane:
Corsi in un labirinto di piccoli, oscuri sentieri… Strisciai attraverso buie gallerie tra i rami, completamente a caso… ma non provai dolore. Non so per quanto tempo corsi. Forse per cinque minuti, o forse per tutto il tempo che serve ad un dio per creare l’universo, a creare l’umanità a propria somiglianza pur senza trovarvi conforto[12].
Come racconta l'autore stesso in un'altra intervista:
Il nuovo romanzo [Little Bee / The Other Hand] nasce dal mio senso di complicità verso il male nel mondo. Partendo dal considerarmi un oltraggiato – e innocente – osservatore, quale ritengo di essere stato in Incendiary. Col tempo, mi sono reso conto che spesso la gente come me è parte del problema. Iniziai a pensare alla mia vita, e a come è relativamente semplice, e a come è relativamente semplice ignorare la sofferenza degli altri. E poiché la sofferenza è la regola molto più che l’eccezione nel mondo, come scrittore, far finta di nulla non è una questione morale facile. Così ho deciso di approcciarla direttamente, immaginando il più straordinario esempio di qualcuno che si trova costretto – Little Bee – a chiedere aiuto a qualcun altro – Sarah – che è un po’ più simile a me. Non ho mai pianificato la trama in anticipo, di conseguenza ero molto interessato a scoprire le ambiguità morali che ne sarebbero nate. Come compito di scrittura, questo romanzo è stato più complesso rispetto a Incendiary. Ho fatto ricerca per un anno. Ho intervistato persone in cerca di asilo e persone coinvolte nelle loro storie, ho approfondito i conflitti in Nigeria, ho imparato l’inglese nigeriano e l’inglese giamaicano. Ho portato avanti molto lavoro prima di scrivere. Poi ho impiegato un paio d’anni a scriverlo. [13].
Il romanzo, pur occupandosi di tematiche spesso tragiche, assume spesso un tono dolce-amaro. Il perché di questa scelta fortemente consapevole, ci viene spiegata direttamente da Cleave:
Sono capace di tale scelta perché ho buoni lettori […] Intendo offrire un tema complesso in modo leggero, così che possa essere preso in considerazione. Questo è l’unico modo che conosco per raccontare una storia riguardante fatti, senza che essa sembri una lettura. E quando intervistai i rifugiati e coloro che cercavano asilo mentre facevo ricerca per il mio romanzo, mi sono accorto che il loro humour era simile al mio. Sono persone che hanno storie dolorose da raccontare. Hanno imparato che per sopravvivere devono fare in modo che persone di potere li ascoltino e credano nelle loro storie. E hanno anche imparato che è più facile che queste persone ascoltino se queste storie vengono rese interessanti, mostrando la gioia delle loro vite tanto quanto la tragedia. Sono maestri nel raccontare storie perché se non trovano il giusto equilibrio, muoiono. Questo è il motivo, proprio questo. [14].
L'approccio alla narrativa è fortemente postmoderno in Chris Cleave, in particolare nella scelta di inserire un personaggio eccezionale, la giovanissima immigrata africana Little Bee, in un contesto assolutamente realistico e ordinario:
Osservo la cultura umana nello stesso modo in cui lo fa la fiction scientifica, ma la osservo guardando dalla parte opposta del telescopio. Nel romanzo scientifico un protagonista normale scopre un mondo straordinario, e il genere letterario è interessante per via della sua dissonanza emotiva. Ma il mio genere è il realismo contemporaneo, quindi mostro sempre un mondo ordinario con un protagonista straordinario. E’ divertente. Attraverso questa lente gli eventi più mondani– Little Bee che beve una tazza di tè nella cucina di Sarah – acquistano un certo significato e una particolare bellezza. Perfino cose che nella nostra cultura sono tristi e ignobili – il fatto, ad esempio, che possiamo assaporare la nostra libertà mentre imprigioniamo e deportiamo coloro che la chiedono – si delineano attraverso lo sguardo di un narratore esterno. Ci siamo abituati a vedere le nostre azioni sotto una lente sbiadita, mentre il narratore esterno non ha ancora acquisito questa immunità culturale. Si tratta di una lente che ci vede dove noi non riusciamo più a vedere [15].
The Other Hand , così come Incendiary, si basa parzialmente su di una storia realmente accaduta, e su di un incontro tra l’autore e un detenuto avvenuto 15 anni prima della stesura del romanzo. Si tratta dell’opera di Cleave che più è intrisa di riferimenti storici e politici: nel romanzo sono presenti numerosi riferimenti alla storia della Gran Bretagna degli anni ’80 che scorre parallela all’adolescenza dell’autore, e varie citazioni tratte da Life in The United Kingdom, il libro che prepara gli immigrati al test di cittadinanza. The Other Hand , attraverso la narrazione della vita della giovane immigrata africana Little Bee, offre spazio al tema del trauma attraverso la descrizione delle torture e dello squallore dei centri di detenzione minorile britannici (fig.5). Il punto di vista femminile della voce narrante racconta a doppio binario ciò che è avvenuto in Nigeria e ciò che avviene nel presente a Londra, dando voce tanto a Little Bee, quanto a Sarah, l’altra protagonista del romanzo. Descrizioni accuratissime e minuziose danno forma al trauma vissuto dai minori nei centri di detenzione attraverso uno stile conciso, diretto, immediato, per lo più facilmente comprensibile e che si propone evidentemente come mezzo d’informazione per il pubblico dei lettori. Il tema del trauma si unisce a quello della memoria: il punto di vista di Little Bee, costretta a subire torture e a reprimere la propria femminilità, lascia grande spazio ai ricordi di un’infanzia trascorsa in Africa ricordata come un Paradiso perduto, nonostante le condizioni di indigenza e le difficoltà. Nella narrazione, dalla dimensione fortemente politica e storica, l’immaginario infantile legato all’Africa e ai sentimenti di nostalgia, si affianca a descrizioni estremamente realistiche di Londra e dei suoi centri di detenzione minorile. In The Other Hand Cleave si avvale di una scrittura che intende informare e fare luce su di un tema senza dubbio scottante, identificando i centri di detenzione come luoghi del trauma personale e sociale (Fig.6). In questo caso la scrittura non è solo mediatrice del trauma, ma assume valenze di forte storicità e di impegno, anche politico, sostenuto da un precedente lavoro di ricerca approfondita sull’immigrazione, sulla cultura, sulla lingua e sulle tradizioni africane.
Bibliografia/SitografiaCLEAVE C. (2008), The Other Hand, Sceptre, London.
www.justice.gov.uk/about/hmi-prisons
Elenco pubblicazioni Dott. Marica Locatelli Preda Volumi:- Donne Ombra , Lulu, Roma, 2007.
- Migrazioni del sabba , Lulu, Roma, 2008.
- I memoriali svelati , Albatros, Viterbo, 2010.
Saggi, articoli e recensioni:
- “Femminismo, multiculturalismo e tolleranza” , in Bollettino Telematico di Filosofia Politica, Università di Pisa, Pisa, 2009.
- “Metamorfosi vegetali in Marina Warner”, in Elephant & Castle n.3, Bergamo, aprile 2011.
- “Tappeti volanti nei cieli di Mark Twain”, in Elephant & Castle n.4, Bergamo, ottobre 2011.
-“L’ansia scolpita negli Elgin Marbles di John Keats”, in Elephant & Castle n.6, Bergamo, 2013.
- Recensione del saggio di Jean-Michel Ganteau e Susana Onega, Ethics and Trauma in Contemporary British Fiction, in The European English Messenger, giugno 2012.
- Recensione del saggio di David Malcolm, The British and Irish Short Story Handbook, in The European English Messenger,giugno 2013.
[1] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[2] www.chriscleave.com. Traduzione mia
[3] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[4] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[5] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[6] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[7] Chris Cleave, The Other Hand, Sceptre, London, 2008, p. 37. Traduzione mia.
[8] www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[9] Chris Cleave, The Other Hand, Sceptre, London, 2008, p. 9. Traduzione mia.
[10] Chris Cleave, The Other Hand, Sceptre, London, 2008, p.38. Traduzione mia.
[11] Chris Cleave, The Other Hand, Sceptre, London, 2008, p. 283-6. Traduzione mia.
[12] Chris Cleave, The Other Hand, Sceptre, London, 2008, p. 328. Traduzione mia.
[13] Cfr. http://www.chriscleave.com. Traduzione mia.
[14] http://www.chriscleave.com/. Traduzione mia.
[15] http://www.chriscleave.com/. Traduzione mia.
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