Editoriale
Abstract
Questo numero della rivista non intende proporre “il segreto” come un motivo letterario fra gli altri, quanto piuttosto andare al cuore stesso della letteratura che, come sostiene Derrida (Passioni, 1993), contiene un segreto esemplare insito nel suo stesso farsi.
Un segreto che eccede sempre tutte le ipotesi “sul senso di un testo o le intenzioni finali di un autore”, che eccede sempre ogni atto di lettura e, proprio per il fatto di lasciarci “con il fiato sospeso”, “ci appassiona”. Esso assurge a istanza ermeneutica e inaugura la ricerca senza fine, sempre rinnovantesi, del senso, come la figura nel tappeto che Henry James concepisce quale la cifra stessa del testo, il suo paradigma. Diventa, dunque, il principio assoluto della scrittura e dell’interpretazione “che non deve mai avere fine perché essa costituisce il segreto stesso” (Todorov, La poetica della prosa, 1971). Principio strutturante del testo, il segreto ne costituisce spesso il motore narrativo come strategia, ora di occultamento, ora di svelamento, ora di rivelazione. La nozione di segreto, pervasiva ma dai confini incerti e imprecisi, apre a una pluralità di percorsi di senso attraversando culture, narrazioni e saperi i cui intrecci intertestuali e transmediali spesso dischiudono una temporalità complessa e non lineare che restituisce l’eternità della creazione artistico-letteraria. Questo patto tanto indissolubile, quanto affascinante, fra la scrittura nelle sue diverse manifestazioni e il segreto, è emblematicamente al centro dell’opera di Jorge Luis Borges Il miracolo segreto (1944), indagato da Adam Chambers nel suo saggio inteso a dimostrare come la scrittura produca essa stessa il proprio enigma senza che il processo interpretativo possa mai estinguersi.
Scardinando le categorie della realtà, della finzione e della narrazione, il segreto apre al paradosso, inteso come un concetto chiave che ricorre spesso nei diversi contributi. Attraverso l’analisi di Pamela (1740) di Samuel Richardson, Francesca Guidotti dimostra che il romanzo si fonda su una dialettica dello scambio fra verità e menzogna che sostanzia il segreto sul quale poggiano anche i paradossi che innervano il realismo letterario e pittorico.
La scrittura vela, maschera, traveste ma allo stesso tempo mette a nudo giocando sulla dialettica intimità e superficialità, trasparenza e opacità, vero e falso. La scena enunciativa dischiusa da un segreto può approdare alla confidenza o alla confessione e convocare l’immagine del velo, dello scrigno, di tutto ciò che separa, nasconde come suggerisce l’etimologia della parola: secretum dal verbo secernere, col significato di separare, tenere in disparte. In quest’ottica l’immagine del guanto, particolarmente amata dai surrealisti, si fa simbolo del segreto come dimostra il saggio di Beatrice Seligardi. Feticcio ed espressione del perturbante, ma anche espediente visuale del non detto, il guanto convoca non solo la letteratura ma altresì la cultura visuale da Max Klinger ad André Breton, da Francesca Woodman a Deborah Levy. L’intreccio tra parola e immagine caratterizza anche lo sguardo con il quale Pierre Klossowski svela e rivela il corpo di Denise/Roberte, moglie e musa ispiratrice, come emerge dall’analisi di Fabrizio Impellizzeri.
La metaforica del velo e la dialettica visibilità/invisibilità, apparizione/sparizione sono alla base del saggio di Giuseppe Sofo, questa volta a indicare la traduzione da una lingua a un’altra: la traduzione si configura come una soglia in cui convivono la pulsione a nascondere e quella a svelare il senso recondito del testo. Dal segreto come velo al segreto come tela di ragno in cui restano imprigionati i personaggi, le strategie messe in atto nel romanzo di Jules Barbey d’Aurevilly Un prêtre marié (1865), come dimostra il saggio di Michela Gardini, si ricongiungono con la teoria di Roland Barthes che spinge la riflessione sull’intertestualità sino a formulare il passaggio dall’immagine del testo come “voile” all’immagine del testo come “toile”, teorizzando l’atto interpretativo non più come svelamento alla ricerca della verità, bensì come attivazione della rete intertestuale che approda a quello che egli definisce “il testo infinito”.
La costellazione in cui il segreto si manifesta comprende anche il non detto legato al lutto patologico, come argomenta Ana Irimescu Morariu che, con gli strumenti della clinica letteraria d’ispirazione psicanalitica, si addentra nel racconto di Katherine Mansfield Le figlie del defunto colonnello (1922).
Dal trauma familiare a quello collettivo, Raul Calzoni indaga la rimozione della guerra aerea nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra, con particolare riferimento all’operazione Gomorra svoltasi nell’estate del 1943 nei cieli di Amburgo. Contrariamente a quanto argomentato da W. G. Sebald in Storia naturale della distruzione (1999), quest’ultima non è stata tabuizzata nell’inconscio della Germania divisa per ragioni politiche, ovvero perché gli Alleati che avevano condotto il bombardamento erano al potere nella Repubblica federale tedesca.
Il contesto storico e politico è fondamentale anche nel racconto di Sonallah Ibrahim intitolato La commissione (1981), ambientato nell’Egitto degli anni Settanta. Secondo l’analisi di Lucia Avallone, nel racconto il rapporto tra scrittore e lettore si fonda su una rivelazione graduale e incompleta delle conoscenze che il primo sembra voler svelare al secondo. Il meccanismo fondamentale, nella tessitura del romanzo, è mantenere segreti scopi e identità, occultando possibili verità, ma al tempo stesso avviando il protagonista-narratore a una ricerca estenuante fra indizi e tracce che riguardano alcune questioni chiave nella storia del Medioriente contemporaneo.
Sullo sfondo della guerra d’Algeria, Mohammed Dib ambienta le novelle della raccolta Il Talismano (1966) nelle quali, tuttavia, la storia collettiva viene trascesa in una narrazione che aspira a costruire una visione globale dell’essere umano. In quest’ottica, come argomenta Rached Chaabene, sempre nell’opera di Dib, la poetica del segreto invita il lettore a interrogarsi sulla propria funzione di interprete del testo.
La trasversalità del tema disegna una geografia letteraria e disciplinare senza confini, come dimostrano, da una parte, il saggio di Viola Parente-Čapková, dedicato alla letteratura finlandese e ai suoi intrecci con l’esoterismo all’inizio del Novecento; dall’altra parte, i contributi che vedono coinvolte la danza, le arti figurative e i videogiochi. Precisamente, Elena Ravera, commentando le opere di Mathilde Monnier e Jean-Luc Nancy Dehors la danse (2002) e Allitérations. Conversations sur la danse (2005) intreccia il mistero della danza a quello del pensiero, esplorando le somiglianze e le differenze tra la danza e la filosofia, mentre all’enigmaticità dell’opera artistica di Marcel Broodthaers è dedicato il contributo di Maria Elena Minuto. Infine, Francesca Bulian esplora il mondo dei videogiochi, addentrandosi nel fenomeno denominato “Easter Egg”, con il quale si designa un contenuto nascosto in un’opera d’ingegno.
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